Una socialista eretica

Una socialista eretica
Breve profilo di Vera Lombardi
di Alessandra Macci e Domenico Cirella

“Ricordo l’entusiasmo e la fiducia che accompagnarono, all’indomani della lotta antifascista, l’elaborazione della Costituzione […]; la sua parte migliore, quella che sanciva il diritto-dovere alla partecipazione, […] al principio della solidarietà, è rimasta inattuata. Non è fallita la Prima Repubblica, semplicemente non la si è realizzata”.
Antifascismo, socialismo antiburocratico e antistalinista, furono i principi che ispireranno la lunga attività di Vera Lombardi, una delle maggiori e indiscusse protagoniste della vita civile, politica e istituzionale, non solo napoletana, del XX secolo; e, oltre a quei principi – e come si evince dalle parole su riportate, tratte dall’intervista da lei rilasciata a Repubblica il 22 aprile 1993 – una fede incrollabile nei fondamenti della Costituzione: quella Costituzione che il padre Giovanni – eletto nel 1946 all’Assemblea costituente e inserito, grazie alle dimissioni presentate in suo favore da Sandro Pertini, nella prima sottocommissione per lo studio della stessa – aveva contribuito a elaborare (“Un uomo come te non può, non deve essere fuori da questa Commissione”, gli scriveva Pertini in una lettera ritrovata nel 1999 tra le carte di Vera Lombardi).
Vera Rosa Lombardi – il suo secondo nome le fu assegnato in onore di Rosa Luxemburg – nacque a Napoli l’11 aprile 1904 da una famiglia dalle solide tradizioni socialista. Il padre, Giovanni, di cui si è in parte detto, fu importante giurista, parlamentare socialista nella legislatura 1919-1921, presidente del Cln napoletano e poi membro dell’Assemblea Costituente. La madre, Rosa Pignatari, aveva fatto parte di uno staff di traduttori e curatori delle opere di Marx ed Engels per le edizioni dell’Avanti. E parlamentari socialisti erano stati pure Raffaele Pignatari e lo studioso meridionalista Ettore Coccotti, rispettivamente fratello e zio della mamma.
Dopo aver conseguito, nel 1928, la laurea in Filosofia presso l’Università di Napoli (con il massimo dei voti e la dignità di stampa della tesi sul filosofo neocriticista francese Charles Renouvier), Vera Lombardi vinse, nel 1932, il primo concorso a cattedra sostenuto, classificandosi seconda nella graduatoria nazionale e divenendo ordinaria di Filosofia nei licei. Fino al dopoguerra poté però insegnare quella disciplina solo negli istituti magistrali, e questo per il divieto imposto alle donne dalle leggi fasciste di insegnare nei licei alcune discipline. Insegnò dunque ad Avellino e poi a Salerno, e nel 1938 ottenne il trasferimento a Napoli, dove insegnò prima all’Istituto magistrale Pimentel Fonseca e poi, dal 1946, Storia e filosofia al Liceo Umberto I, dove insegnerà fino al 1969, anno in cui vincerà il concorso per ispettrice ministeriale.
Vera Lombardi svolse attività antifascista, ovviamente clandestinamente, fin dagli anni Venti Clandestinamente e con molta prudenza, in quanto la sua famiglia era, peraltro, “attenzionata” dal regime. Il padre – si è detto, ex deputato socialista – conobbe nel 1942, in occasione della pubblicazione del suo “Sociologia criminale”, anche l’esperienza del carcere; i cognati Enzo e Jole Tagliacozzo, rispettivamente coniugi di Nora e Franco Lombardi, furono perseguitati in quanto di origine ebraica. Negli ultimi anni di liceo e soprattutto durante l’università e i primi anni di insegnamento, Vera Lombardi cominciò a frequentare casa Croce a Palazzo Filomarino, ma anche casa Del Valle in via Aniello Falcone. E tenne incontri con dissidenti anche al Caffè Gambrinus e alle librerie Guida di Piazza dei Martiri e Detken di piazza del Plebiscito, incontri durante i quali ci si scambiavano notizie (anche sulla situazione internazionale, sulla guerra di Spagna e sulla svolta illiberale della rivoluzione sovietica), e materiale politico proibito. Tra gli episodi di rilievo, quello del 1937, quando lei stessa oltrepassò la frontiera, tra Francia e Italia, trasportando documenti destinati a circolare tra gli ambienti antifascisti napoletani; documenti tra cui la Costituzione sovietica del 1936, carta che fece comprendere appieno la svolta illiberale della rivoluzione sovietica e che finì per rappresentare il punto di partenza del suo antistalinismo.
Vera Lombardi cominciò a prendere parte alla politica formalizzata già all’indomani della liberazione di Napoli dai nazifascisti. Nel 1944 entrò nel Comitato direttivo della Federazione napoletana del Psiup, all’interno del quale fu presidente della Commissione femminile; e si avvicinò, fin dalla sua costituzione, a Iniziativa socialista, corrente della sinistra autonomista ed europeista che, capeggiata da Mario Zagari e Leo Solari, nacque sulla critica allo stalinismo e a ogni forma di stato guida. Ma in quegli anni, insieme al padre Giovanni e al fratello Franco, fu pure tra i principali promotori del Centro socialista di studi sui problemi del Mezzogiorno, sezione napoletana dell’Istituto di studi socialisti, che, con il contributo di storici ed economisti di rilievo, si proponeva di elaborare proposte concrete sui problemi dell’arretratezza del Mezzogiorno.
Nel 1947, in occasione della scissione di Palazzo Barberini di Giuseppe Saragat, aderì, come esponente di Iniziativa socialista, al Partito socialista dei lavoratori italiani (Psli), partito che abbandonò però già l’anno successivo, dopo il Congresso nazionale di Napoli, per la svolta filogovernativa imboccata dalla sua maggioranza. Le sue posizioni antistaliniste le impedirono tuttavia di rientrare nel Psi; tanto più che il Partito socialista si presentava ora, per le elezioni del 1948, coalizzato del Pci nel Fronte Popolare; e le impedirono altresì di accettare proposte di candidatura che pure le arrivarono dal Fronte. Decise invece di operare all’interno di un gruppo autonomo, il Circolo socialista autonomo Carlo Pisacane, impegnato, oltre che nella politica attiva, in un’analisi politico-sociologica della società moderna.
Su sollecitazione di Lucio Libertini, già compagno di battaglie e confronti all’interno del Psli e di Iniziativa socialista, nel 1951 aderì al Movimento dei lavoratori italiani (poi Unione socialista indipendente) di Valdo Magnani e Aldo Cucchi, di cui seguì tutte le tappe fino alla sua confluenza, nel 1957, in quel Psi che, con il congresso di Venezia, prendeva definitivamente le distanze dalla politica dell’Urss. Un’adesione che però Vera Lombardi non tardò a percepire come precipitosa, dettata sì dalle più favorevoli condizioni politiche nazionali e internazionali, ma soprattutto dal crescente timore, da parte dei militanti dell’Usi, di apparire troppo moderati. Oltretutto quel Psi, all’interno del quale ella si schierava con la corrente di sinistra di Riccardo Lombardi, optava ben presto per la partecipazione al governo (1963, Governo Moro), decisione accettata non senza “mal di pancia” da Vera Lombardi, che pur lavorando con passione nella Commissione cultura della Federazione napoletana del Psi, da lei stessa promossa, riuscì a resistere nel partito solo fino al 1968. Quell’anno, in occasione del I Congresso nazionale Psi-Psdi unificati, emerse infatti nel nuovo soggetto non solo una forte maggioranza socialdemocratica, ma anche una totale indifferenza alle nuove istanze del movimento studentesco. Posizioni che Vera Lombardi, che durante quel congresso stigmatizzò attaccando i “ristretti gruppi di potere che [ne] soffocano la democrazia di base”, le fecero abbandonare partito e politica formalizzata. Politica da cui si tenne lontana anche quando, negli anni Settanta intravide nel Pci di Enrico Berlinguer quella spinta antisovietica e antiburocratica, e quell’interesse per la questione morale, in cui continuava a credere.
Abbandonata la politica dei partiti, Vera Lombardi si dedicò dunque, in maniera via via crescente, a quell’impegno culturale che aveva sempre affiancato a quello politico. Nel 1964 era infatti stata – insieme a Pasquale Schiano, Mario Palermo e Clemente Maglietta – tra i promotori dell’Istituto Campano per la Storia della Resistenza, fondazione che si proponeva di catalizzare iniziative, fino a quel momento spontanee e disorganiche, tese ad avviare riflessioni sul contributo antifascista offerto dalla città di Napoli e dal Mezzogiorno. Ma l’Istituto finì pure per recepire istanze del movimento studentesco che daranno un nuovo e più ampio significato al termine Resistenza. E, quasi per “gemmazione”, ma grazie soprattutto al contributo di Vera Lombardi, finì per generare nuove iniziative, civili e culturali, quali l’Associazione risveglio Napoli e l’Istituto di studi Carlo Pisacane (ideale continuazione del circolo socialista omonimo cui aveva operato alla fine degli anni 40); e, più tardi, l’Associazione quartieri spagnoli e la Mensa dei bambini proletari.
Nel 1987, a quasi vent’anni dalla sua uscita dal Psi, un appello da lei firmato, insieme a importanti intellettuali, per lo scioglimento dell’inconcludente Consiglio comunale di Napoli, la rilanciò nuovamente nella politica formalizzata. Fu dunque convinta da alcuni giovani di Democrazia proletaria ad accettare il ruolo di capolista nelle successive elezioni amministrative, e fu quindi eletta, nel giugno del 1987, al Consiglio comunale di Napoli. Eletta poi all’unanimità, presidente della Commissione cultura, rinunciò però all’incarico, essendovi giunta anche con i voti del Msi.
Nei sei anni di permanenza nel Consiglio comunale, come capogruppo di Democrazia proletaria prima e di Rifondazione comunista poi, denunciò le degenerazioni politiche del consociativismo, criticò i metodi di designazione dei consigli di amministrazione delle Unità sanitarie locali (per le quali avrebbe preferito fossero consultate le associazioni, i tribunali per i diritti del malato e il volontariato), intervenne in materia di lavoro e di ambiente. Pur sostenendo di aver ritrovato, durante questa ultima stagione politica, quel marxismo antiburocratico spesso inseguito in gioventù, non ritenne di ricandidarsi, all’età di 89 anni, alle comunali del 1993.
A chi le faceva notare che lei, partita negli anni 40 dai movimenti socialisti di “destra”, approdava ora, negli anni 90 a un partito di estrema sinistra quale Rifondazione Comunista, la Lombardi ribatteva che, per mezzo secolo, lei era rimasta, di fatto, sulle medesime posizioni. Il fil rouge che legava quel suo apparente peregrinare – forse pure connesso al socialismo anarchico del padre Giovanni – era in effetti rappresentato dalla costante ricerca di una terza via, distinta sia dal comunismo burocratico che dalle esigenze socialdemocratiche, che facesse da baluardo ai principi del pensiero liberale e a quello della democrazia.
Vera Lombardi morì a Napoli il 26 ottobre 1995.