Salute mentale cercasi

Salute mentale cercasi

 

L’11 marzo 2024 si compie il centenario della nascita di Franco Basaglia, genio indiscusso e interprete del suo tempo, fondatore del concetto moderno di salute mentale, legislatore della legge 180 attualmente in vigore in Italia, legge che decretò la chiusura definitiva dei manicomi ispirando gli attuali ordinamenti psichiatrici di tutto il mondo.

Come rilevò Michel Foucault nella sua Storia della follia, la clinica psichiatrica ha fondato un ossimoro che si trascinerà dietro a lungo: liberare e segregare, a un tempo.

Basaglia, nel 1964 a Londra, aveva pronunciato il suo intervento al congresso internazionale di psichiatria, dal titolo: La distruzione dell’Ospedale psichiatrico come luogo di istituzionalizzazione.

Nel 1978 venne varata in Italia la legge 180 che chiuse definitivamente gli Ospedali psichiatrici, nel tentativo di combattere l’impossibile, di risolvere l’ossimoro attraverso una nuova logica che articolava Ospedale e Territorio in nuovi luoghi di cura.

Due svolte epocali, dunque, che permettono oggi di individuare i cardini fondamentali della clinica psichiatrica nella ricerca di una adeguata distanza tra alienato mentale e società, la giusta soluzione per separare la follia dalla psicopatologia della vita quotidiana.

Questa operazione ruotava infatti intorno al perno di un disagio della civiltà in cambiamento, di cui la deriva scientista aveva già colto la portata.

La nuova questione era dunque come riabilitare e restituire a una dimensione sociale quei pazienti rapiti ed etichettati dalla diagnosi, poi traditi da una rinnovata segregazione. La difficoltà di questa articolazione tra diversi luoghi di cura insiste ancora oggi e, come sappiamo, miete vittime: dall’una e dall’altra parte, anche perché, nel tempo, la psichiatria si è progressivamente impoverita di mezzi, di idee e di risorse, in Campania ed a Napoli, in modo drammatico.

Un anno fa circa, dopo la morte della psichiatra Barbara Capovani, assassinata fuori dal servizio di psichiatria sociale dell’ASL Toscana Nord Ovest dove lavorava, 80 psichiatri napoletani sono insorti, puntando il dito sulle problematiche della pericolosità sociale, ingiustamente prese a pretesto il più delle volte per motivare una revisione della 180.

Una loro lettera aperta, di cui pubblichiamo un breve stralcio, deve farci riflettere e ci spinge a dovute considerazioni.

«…Esprimiamo la rabbia per la marea di interviste in cui la maggior parte degli intervistati (magistrati, giornalisti, criminologi, passanti e psichiatri televisivi che frequentano più i salotti che i Centri di Salute Mentale ) danno le loro illuminanti interpretazioni e propongono soluzioni. Tutti questi interventi hanno una costante: delegare agli operatori della Salute Mentale (in particolare ai medici) il compito di rendere più sicura e protetta da atti violenti la vita dei cittadini italiani. Siamo arrabbiati perché si suggerisce un sillogismo tanto automatico quanto falso: malattia mentale sinonimo di violenza e violenza sinonimo di malattia mentale. Non esiste alcun dato scientifico a riprova di questa equivalenza. La violenza esiste e è sempre esistita e non è una prerogativa di un paziente psichiatrico. Non è una malattia ma un comportamento umano e non essendo una malattia non può essere curata. Altrimenti dovremmo curare “obbligatoriamente “i mafiosi, i camorristi responsabili di stragi e quotidiani atti di violenza; i terroristi di qualunque ideologia; I politici e

Capi di Stato che dichiarano e fanno guerre…Non spetta agli psichiatri in quanto medici “curare” la violenza né proteggere i cittadini da essa. Ci sono le Forze dell’Ordine, la magistratura e luoghi

deputati alla custodia di autori di reati…A noi medici si chiede invece non solo di curare qualcosa che non è una malattia, ma di mantenere il controllo dell’ordine sociale e provvedere a custodire gli autori di atti violenti. Si aumenta così lo stigma sui pazienti psichiatrici veri, vissuti dagli altri come violenti solo perché malati. Siamo frustrati perché costretti non solo a confrontarci quotidianamente con la violenza … ma veniamo anche ritenuti penalmente responsabili dei reati che queste persone compiono perché esiste per noi psichiatri la posizione di garanzia. Spesso siamo costretti a intervenire su mandato della magistratura. In quale altra branca della medicina i giudici possono interferire nelle questioni cliniche? Mi verrà risposto che i giudici dispongono dopo aver consultato delle perizie…Questo non ci compete. Noi abbiamo l’obbligo istituzionale di curare i pazienti e di fare relazioni cliniche. Non altro!».

Come è noto, la 180 è stata, da sempre, una legge tradita, disattesa, dimenticata. I pazienti, gli ultimi della terra e della società, non hanno mai avuto voce in un Sistema Sanitario che si sgretola. D’altro canto, gli psichiatri e il personale, si sentono ormai soli e appare inutile il richiamo a una implementazione delle risorse umane, in tutta la Regione Campania.

 

La cultura ispiratrice della legge soffre oggi della crisi dei principi democratici, evidenziando la divaricazione di un antico binomio: meglio allargare i confini del diritto attraverso processi inclusivi o procedere all’esclusione e all’emarginazione segregativa di fasce sempre più estese di umanità, escludendole da ogni diritto?

Il dilemma rappresenta un punto focale nella complessità di valutazioni che supera di gran lunga il problema della eventuale revisione della legge 180, focalizzando l’attenzione su ciò che assorbe il dibattito politico più generale sulle fasce deboli e sugli ultimi: migranti, minoranze, marginali, disorientati ed inquieti di ogni genere. In sintesi: gli espulsi.

La lettera di protesta degli psichiatri napoletani richiama l’attenzione pubblica all’ascolto, accusano uno stile politico ormai sordo alle difficoltà che si incontrano nelle trincee dei servizi dedicati alla salute come diritto di tutti ed alla salute mentale in primis.

La crisi e la scomparsa della Salute Mentale, a Napoli e in Campania, risulta essere un attacco ai diritti dei cittadini. Gli 80 psichiatri scrivono: «Molti si dimettono e anche noi lo pensiamo e lo desideriamo perché non è più umanamente sostenibile andare al lavoro con l’angoscia di non tornare più a casa, di avere un avviso di garanzia, di essere contemporaneamente attaccati mediaticamente come torturatori di persone o di abusare della posizione di psichiatra. Quale potere? Non abbiamo nemmeno il potere di controbattere sui media perché siamo psichiatri sconosciuti al mondo dei salotti televisivi dove si fa tanto rumore. Rumore in cui i nostri politici si trovano benissimo perché così non sono costretti a ascoltare… Crediamo di avere però solo un piccolissimo potere: quello di cittadini che provano a far sentire la loro voce non solo per avere un momentaneo conforto alla rabbia, la frustrazione e al fallimento, ma soprattutto per un senso di giustizia…Questo SSN e questo Paese di quante Barbara hanno ancora bisogno per proteggere e ridare dignità ai loro operatori?».

L’arretratezza dei servizi e la perdita della dignità nei luoghi di lavoro degli operatori sono una realtà sconcertante a Napoli, ove si vede un progressivo consolidamento delle strutture private, a discapito dell’assistenza pubblica a fronte di una progressiva difficoltà di una fascia estremamente povera della popolazione che paga già la crisi economica attuale, ma anche la costante aggressività che si cela dietro l’abbandono e il deterioramento delle ottiche del welfare.

Si dimentica che la Salute Mentale è un indispensabile Bene Comune, che il diritto ad attingere ai servizi nell’ottica di un miglioramento delle condizioni di vita è fondamento di importanti principi collettivi sui quali dovremmo fondare le culture del futuro.

Non basta dunque lo slancio di dedizione professionale, non è sufficiente che si valorizzi nel tempo l’invenzione basagliana, non basta ricordare o commemorare i principi generali traditi e negati certamente, specialmente per quanto riguarda lo sviluppo di una rete sociale inclusiva.

È tempo di consentire una ripresa del dibattito, affinché non si taccia ma si richiami la politica al dovuto ascolto ed all’impegno etico.

 

Emilia Cece