Ruanda: a trent’anni dal genocidio una ferita aperta nella storia
Ruanda: a trent’anni dal genocidio una ferita aperta nella storia
Fu uno dei massacri più sanguinosi della storia, segnanti di un periodo oscuro.
Una serie di omicidi protratti da un gruppo di estremisti hutu per cento giorni costò la vita a un numero di persone ancora incerto che oscilla tra le ottocentomila e il milione di individui, indistintamente tra uomini e donne, giovani e anziani, ricercati in gran parte nel popolo tutsi e negli hutu moderati.
Cento giorni di dolore e caccia all’uomo selvaggia, messa a termine solo con l’intervento delle milizie ribelli del Fronte Patriottico Ruandese (RPF), che riuscirono a prendere la capitale Kigali e porre fine nel luglio ’94 all’insurrezione violenta. Da quel momento, nonostante il presidente Kagame, guida dell’RPF, sia riuscito a riportare un apparente equilibrio in Ruanda, la ferita è ancora aperta.
Il 7 aprile è iniziata la commemorazione per le vittime innocenti, data che corrisponde all’inizio del genocidio e con il momento in cui le milizie hutu innescarono una reazione a catena di sangue e carneficine nel 1994. La fiamma commemorativa è stata accesa presso il Kigali Genocide Memorial dal presidente Kagame in persona, nel punto in cui si ritiene siano sepolte più di duecentocinquantamila vittime.
Tra i presenti, oltre alle alte cariche del Ruanda, diversi capi di Stato e anche l’ex presidente USA Bill Clinton, il quale ai tempi definì il genocidio del Ruanda come il più grande fallimento della sua amministrazione.
Questo mea culpa non fu il solo, né certamente l’unico poiché l’assenza della cooperazione e dell’intervento della comunità internazionale fu evidente, al punto tale da suscitare molteplici polemiche.
“Non dimenticherò mai l’orrore di quei 100 giorni, il dolore e la sofferenza della popolazione. Onoriamo le vittime che sono morte senza senso e i sopravvissuti che coraggiosamente hanno ricostruito le loro vite”, così il Presidente Joe Biden.
Mario Marrandino