Ombre sulla sicurezza: la necessità di un codice identificativo per le forze dell’ordine in Italia

  • Ombre sulla sicurezza: la necessità di un codice identificativo per le forze dell’ordine in Italia

 

I ciclici episodi di violenza da parte delle forze dell’ordine tendono a destare molto scalpore in Italia, ma come per tante questioni che attanagliano il nostro Paese, ci troviamo di fronte a una situazione condannata a vivere nel presente, priva di prospettive a causa della mancanza di memoria storica.

È incredibile notare che l’Italia, testimone e colpevole tramite le sue istituzioni dei fatti del G8 di Genova, si è dimostrata incapace di assicurare piena giustizia a molte delle vittime di violenze e umiliazioni di quei giorni. 

È altrettanto sorprendente che l’Italia, che ha registrato numerosi episodi di abusi da parte delle forze dell’ordine, sia uno dei cinque stati europei dove non è garantita la riconoscibilità degli agenti di pubblica sicurezza.

Le recenti violenze a Napoli, Firenze e Pisa, Roma così come gli eventi di un anno fa a Torino e la gestione delle manifestazioni scatenate nel 2022 a seguito della morte sul lavoro dello studente non retribuito Lorenzo Parelli, hanno più volte portato alla ribalta la discussione su questo tema. 

Tuttavia, questa dialettica risulta essere inutile poiché ogni sua evoluzione pratica è bloccata dall’ostruzionismo dei partiti di centrodestra, i quali si dedicano a condurre una delle poche battaglie ideologiche in cui non sono così distaccati dal loro elettorato di riferimento. Gli stessi sindacati di polizia, come FSP, osteggiano l’approvazione dei codici identificativi.

Così, a un mese dalle violenze di Pisa, possiamo constatare che nemmeno le manganellate a studenti minorenni e disarmati hanno scosso l’immobilismo legislativo su questo tema. Allo stesso modo, né le raccomandazioni dell’Unione Europea nel 2011, né una risoluzione del Consiglio sui diritti umani delle Nazioni Unite nel 2016, né la sentenza del Consiglio d’Europa sul Codice Etico di Polizia, immediatamente successiva ai fatti di Genova, hanno contribuito a portare avanti la discussione. Nemmeno le battaglie condotte da Amnesty International, da singoli parlamentari del centrosinistra e dai Radicali hanno ottenuto risultati soddisfacenti.

La tutela dell’ordine pubblico, che è “l’esclusiva” dello Stato sull’uso legittimo della forza, non può tradursi nell’esistenza di zone d’ombra, nell’impunità di alcune categorie di soggetti, fenomeno che talvolta, come cittadini, temiamo avvenga sul lato opposto della legge, né può tradursi nell’assenza di garanzie sulla propria integrità personale da parte di chi esercita un diritto costituzionalmente garantito.

L’applicazione di un codice identificativo rappresenta una misura di garanzia adeguata sia per il cittadino comune, non investito di responsabilità pubbliche, sia per l’agente di pubblica sicurezza, il quale non è riconoscibile in pubblica piazza attraverso dati personali e allo stesso tempo non deve trovarsi suo malgrado a fungere da scudo nella collettività contro azioni di singoli individui che non fanno altro che aumentare la diffidenza verso un’istituzione fondamentale e di prossimità.

 

Andrea Buonocore