Salute Mentale: una prevenzione difficile ma non impossibile.
Salute Mentale: una prevenzione difficile ma non impossibile.
Emilia Cece
Il disagio sociale cresce a dismisura, non si parla che di guerre, gli adolescenti evidenziano angoscia, smarrimento, dipendenze, isolamento e fragilità impressionante.
Non è certo sufficiente aumentare i punti di ascolto, gestire la psicologia di base, monitorare i BES nelle scuole: il desiderio per la vita si spegne, mentre la società si scontra con una realtà sempre più distruttiva.
Ci si appella agli specialismi mentre i servizi, impoveriti di risorse, sono senza iniziativa e la politica appare sempre più sorda, attaccata solo alle apparenze.
Una sostanziale cultura del controllo sociale, attenta a rinforzare il sistema di potere piuttosto che a favorire la spinta verso il sapere dell’adolescenza, dei più giovani, impoverisce per tutti il futuro e le sue prospettive.
Si va così sostituendo una società povera di valori alla vecchia meritocrazia scollegata dai bisogni sociali.
Piccole aristocrazie mediche, non solo hanno trascurato di trasmettere ai giovani un sapere autentico, ma si sono arroccate su valori inadatti poiché incapaci di incidere sul malessere sociale, si sono dimostrate incapaci di riorganizzare il lavoro e le competenze, sopravvalutando una scienza istericamente fissata alle apparenze.
Oggi, una molteplicità di corsi e di masters, diffondono attraverso i social, quelle stesse ambizioni che rimangono impotenti di incidere sul reale, silenziose, senza fornire autentiche risposte: new age, re-birthing, yoga, si mescolano a lettori di tarocchi, a diete per il prolungamento della giovinezza, psicologie di diversa provenienza si alternato a bio-prodotti, a microchip inseriti nel cervello, mentre si ostentano risultati tra valutazioni di appropriatezza e servizi psichiatrici finalizzati unicamente al controllo sociale.
Lo stato generale della cultura attuale e dell’educazione alla salute è inquinato da un mercato eterogeneo di prodotti di improbabile efficacia, mentre il disagio e il disorientamento dei giovani cresce a dismisura.
La legge 180 è lontana ormai anni luce dai bisogni emergenti, pochi psichiatri illuminati dal buon senso, rendono il proprio tributo di buona volontà ad una sempre maggiore rigidità dei servizi, accolgono adolescenti perfino nei Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura, nell’indifferenza generale che dimentica di fondare le basi di una società del domani.
Il clima culturale, nonostante tutto, è infarcito di un linguaggio psicologico, addirittura psicoanalitico, i guru si esibiscono anche in radio e televisione, ma ogni discorso sembra un’astrazione semplicemente ispirata a psicologismi deviati verso psico-valutazioni, quando ci sono proposte, sono riforme regressive a loro volta ispirate da una democrazia ammalata.
Il sapere, su cui si fonda la vita degli esseri umani, nella realtà sociale e istituzionale, crea solo sistemi di potere: il sapere specialistico crea segregazioni ed esclusioni, l’amore per la conoscenza è sempre più svuotato e disinteressato, anche il volontariato senza fini di lucro perde valore, perché di fronte alla mancanza di lavoro, inaugura solo una nuova enorme area di parcheggio.
Come muovere dunque le acque torbide dello stagno per far balzare fuori almeno un rospo?
Le istituzioni, oggi più che mai, sono il luogo più opportuno per aprire una faglia e domandarsi circa questo torpore generalizzato che, nel prescrivere godimenti e beni di consumo, distribuisce angoscia generalizzata e fuga nelle sostanze.
Mentre tutto si sgretola, mentre l’emigrazione di medici, ingegneri, e alte professionalità ha impoverito le nostre risorse, possiamo ancora chiederci: quali ospedali, quali scuole, quali Università, quali tecnici, possiamo mettere assieme per costruire una rete operativa, quali desideri ancora ci ispirano e a quale salute aspiriamo?
Questi principi generali furono il fondamento della legge 180, che prima di abbattere le mura del manicomio creò appunto: nuove domande, interrogativi, dibattiti, alleanze e nuove istanze democratiche. Questa idea di collettivo, forte, è da condividere ancora tra le scuole, il mondo del lavoro e le amministrazioni, perché in extremis potrebbe far saltare il rospo dallo stagno.
L’idea centrale, che consente di parlare ancora di prevenzione, resta adesa a una funzione di programmazione che trovi fiato nel territorio e tra le istanze democratiche, che apra le porte dei palazzi vincendo sia la separatezza delle mura che delle ideologie della segregazione, per abbattere immaginari oppositori che creano divisione e, in maniera speculare, producono altrettanti immaginari nemici.
La questione della prevenzione si può porre oggi a condizione che ci si assuma l’obiettivo di stanare il desiderio e riaprire la fiducia.
Si può riscoprire, forse, che tutti i principi generali, i così detti “universali aristotelici” che si nascondono dietro i ruoli (gli insegnanti, i medici, i magistrati, gli psicologi etc.etc.), possono ancora confrontarsi con modi singolari dell’esistenza, con il disagio propriamente singolare.
Si può ancora provare, così a percepire in modo nuovo questi ruoli nascosti dietro gli universali, riscoprendoli a partire dalla propria difficoltà; la difficoltà che ognuno come soggetto ha, con cui ognuno si confronta quotidianamente, a partire dalla propria esperienza specifica e dal proprio disagio, vissuto spesso come una devianza e per questo mai espresso, rimandato e svalutato, come se appartenesse a un piano secondario mentre, proprio la singolarità mostra ancora la potenzialità di muovere l’acqua dello stagno e apportare del nuovo.
Mentre oggi i gesti folli, estremi, suicidari, aumentano tra giovani e meno giovani, come se la morte fosse un estremo tentativo di rendere normale la società delle espulsioni e del rigetto dei disagiati e dei disperati, mentre il sogno della nave dei folli che conquista i continenti ha trovato il suo risveglio e Marco Cavallo non entra più nelle mura della città, tutto il mondo sembra folle.
La distruzione generalizzata diventa normale. Mentre si arriva a sentire di non essere adatto alla vita, le derive scientiste consumano l’abuso dell’universale sulla singolarità.
Come aprire le porte alla prevenzione nel mondo della follia? Solo un ribaltamento della logica può guidare un’etica della programmazione: un sostegno del singolare alla luce di nuove esigenze sociali nel rispetto della diversità, finalizzato a restituire valore alla vita per aprire alla salute per il futuro.
Una profonda fiducia nell’altro, in fondo, non visto come nemico, ma da conoscere anche nella sua più intima diversità, ispirò Franco Basaglia sino alla storica riforma che, aprendo le porte del serraglio, portò all’evidenza come ogni uomo, nella propria stranezza, se accolto, può offrire il suo contributo alla vita, fosse anche in modi strani, artistici, poetici, insoliti o creativi.
Aprire le porte al desiderio per non chiuderle di fronte a ciò che appare come a-normale può essere oggi un programma di prevenzione. Prevenzione di questa cultura generalizzata dell’odio verso ogni differenza, cultura della così detta norma, della coerenza, che nella follia generale, comporta guerra, impoverimento, perdite e morte.