WUHAN coincidence

WUHAN coincidence

di Fatima Curzio

 

 

Sembra di guardare la luce.

Quella che schizza sul cielo del ricordo. 

Wuhan coincidence, mi sembra di poter definire così il mio stato d’animo attuale: il Covid e la Rivoluzione culturale.

Anche allora c’era il lockdown, anche se si chiamava camminare sulle proprie gambe ed era nazionale. 

Tutto cinese. Senza esportazione. Senza contagio.

L’intero paese rinchiuso entro le sue proprie frontiere. 

Nessuno entra, nessuno esce.

Fine.

E dentro il mondo rinchiuso tutti fuori a urlare a qualcuno, a terrorizzare a bastonare, a uccidere…

La prima scena di Il problema dei 3 corpi. Netflix.

Io c’ero.

A quel tempo vivevamo a Wuhan, la città del 10\10: il dieci di ottobre l’inizio della rivolta che pose fine al millenario Impero cinese per dare i natali alla Repubblica. Non quella popolare, cioè comunista che si inaugurò il primo di ottobre del 1949.

 

 A quel tempo le parole del nostro Sole rosso, del Grande Timoniere trascinarono tutti nel baratro, i ragazzi sono facili da manovrare. Adulti cinici e consapevoli ci spinsero l’uno contro l’altro, contro padri, madri, fratelli, mentori, potenti…

Non facemmo caso al fatto che erano altri potenti a soffiare dietro le nostre spalle. Poi si stufarono di noi e ci mandarono in campagna a zappare la terra e imparare dal popolo contadino. Noi, le guardie rosse di Mao, con il libretto rosso sul cuore, da cui avevamo stracciato via l’introduzione del traditore Lin Biao, esploso in cielo nel suo aereo in fuga verso la Russia comunista. 

Sì, proprio come Evgenij Prigozhin.

Chissà forse i cieli russi detestano i traditori. 

Coincidenze. 

A quel tempo i russi e i cinesi non andavano troppo d’accordo.

 

A quel tempo mio fratello maggiore volò giù dal balcone del dipartimento di cinese. Poi toccò a sua madre, la mia matrigna: giù dal suo laboratorio di biologia… biologia, chissà che cosa… no, non era simpatica. Era cattiva, autoritaria, prepotente. Non era una brava persona e metteva paura a tutti. Mio padre l’aveva sposata dopo aver ripudiato mia madre, donna di cattiva discendenza borghese capitalista arrestata durante una delle campagne contro i destri.

 

 

Lui, mio padre, era uno che ci sapeva fare, l’aveva sposata, mia madre intendo, perché figlia di una donna ebrea berlinese rifugiata nel ghetto di Shanghai insieme a ventimila altri: polacchi, austriaci, ungheresi, cecoslovacchi, lituani, in fuga da Hitler. 

Quasi tutti, dopo la fondazione dello Stato d’Israele nel 1948, se ne erano andati lì. Avevano lasciato l’unico paese dove le navi cariche di perseguitati ebrei, avevano avuto il permesso d’attracco e i passeggeri l’entrata senza visto. Dove gli occupanti giapponesi si erano rifiutati di consegnare all’alleato tedesco i rifugiati ebrei. 

Mia nonna aveva lavorato al Cathay, adesso lo chiamano Peace Hotel, assunta da Sir Victor Sassoon – il ricchissimo ebreo nato per ventura in Italia, a Napoli, padrone del più mirabolante albergo della sfolgorante Shanghai coloniale. Mia nonna non partì. Si mormorava avesse soldi, entrare illecite anche dopo il 1949. 

Insomma, lui la ripudiò, lei sparì dopo essere stata arrestata e lui sposò la biologa comunista spiona che dirigeva il laboratorio di Wuhan.

Volò giù dalla finestra e via. Mio fratello sopravvisse.

È morto ieri di Covid 19.

Non a Wuhan, non in Cina. 

Sprazzi di luce nel cielo d’Israele.

Wuhan coincidence.