Il principio di offensività nel diritto penale: fondamenti storici e teorici
di Luca Orlando
Il presente lavoro vuole essere la prima di cinque uscite su rivista con riguardo al principio di offensività nel diritto penale italiano.
Tale principio rappresenta uno dei cardini del diritto penale moderno, in quanto esso definisce i limiti entro cui una condotta può essere considerata penalmente rilevante.
Più puntualmente, esso stabilisce che affinché un comportamento sia considerato reato, questo deve concretamente ledere o mettere in pericolo un bene giuridico protetto dall’ordinamento.
Nel corso della storia, il diritto penale ha attraversato numerose trasformazioni, passando da un sistema repressivo basato sulla mera violazione della norma a un modello più garantista, incentrato sulla protezione effettiva dei diritti fondamentali.
Il dibattito giuridico si è sviluppato attorno alla contrapposizione tra una concezione oggettivistica, che vede il reato come mera violazione di un dovere imposto dalla legge, e una visione più moderna, che richiede un’effettiva lesione o messa in pericolo di un bene giuridico per configurare un illecito penale (Manes, 2005).
L’evoluzione storica del principio in questione può essere compresa analizzando il passaggio dal diritto penale medievale a quello moderno.
Nei sistemi giuridici più antichi, la punizione di un comportamento non richiedeva necessariamente una lesione a un bene giuridico: infatti, la violazione delle norme veniva sanzionata sulla base di criteri morali e religiosi.
Le società primitive e medievali, dunque, adottavano un diritto penale in prevalenza afflittivo, in cui la pena era vista come una forma di espiazione e di mantenimento dell’ordine sociale.
In seguito, con l’avvento dell’Illuminismo e lo sviluppo dello Stato di diritto, si affermò progressivamente la necessità di un diritto penale fondato su criteri razionali e garantisti, riducendo le interferenze dello Stato nella sfera individuale (Donini, 2013).
Durante questa fase, pensatori come Beccaria (Larizza, 2018) e Montesquieu (ed. 2013) contribuirono a ridefinire il ruolo della pena, sottolineando l’importanza della proporzionalità tra reato e sanzione e la necessità di una legislazione chiara e prevedibile.
In questo contesto, il principio di offensività iniziò a emergere come criterio essenziale per la definizione dei reati.
A partire dal XIX secolo, con l’influenza delle teorie giuridiche liberali, il principio di offensività cominciò a essere recepito nei codici penali dei principali ordinamenti giuridici occidentali.
In particolare, la dottrina penalistica tedesca e quella italiana contribuirono a rafforzare l’idea che la punibilità di una condotta dovesse essere giustificata dalla concreta lesione di un interesse protetto.
In tal senso, il Codice penale italiano del 1930, pur conservando talune tracce di un diritto penale autoritario, introduceva il principio di offensività, influenzato proprio dalle teorie di scuola classica e positiva emergenti (Mantovani, 2017).
Riferimenti bibliografici:
- M. DONINI, Il principio di offensività. Dalla penalistica italiana ai programmi europei, in Diritto Penale Contemporaneo, 2013, pp. 4 ss.
- S. LARIZZA, “… e delle pene”: la concezione di Cesare Beccaria, in AA.VV. (a cura di), La pena, ancora: tra attualità e tradizione. Studi in onore di Emilio Dolcini, Milano, 2018.
- V. MANES, Il principio di offensività nel diritto penale. Canone di politica criminale, criterio ermeneutico, parametro di ragionevolezza, Torino, 2005.
- F. MANTOVANI, Diritto penale. Parte generale, Milano, 2017.
- C. L. MONTESQUIEU, Lo Spirito delle leggi, Bologna, 2013.