Il principio di offensività e la sua applicazione nel diritto penale contemporaneo

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Il principio di offensività e la sua applicazione nel diritto penale contemporaneo

di Luca Orlando

Il presente contributo rappresenta la seconda parte di cinque pubblicazioni su rivista in tema di principio di offensività nel diritto penale, con l’intento di offrire una panoramica generale ma completa in relazione a uno dei cardini principali del nostro ordinamento giuridico.

 

Con l’entrata in vigore della Costituzione italiana nel 1948, il principio di offensività trovò una base   giuridica solida nel diritto costituzionale.   

 

In particolare, l’articolo 25 stabilisce il principio di legalità, limitando il potere punitivo dello Stato, mentre l’articolo 27 sancisce il carattere personale della responsabilità penale. 

 

Da queste norme deriva l’implicito riconoscimento del principio di offensività come criterio essenziale per l’applicazione delle norme penali (Vassalli, 1982).

 

La Corte costituzionale ha ribadito a più riprese che la norma penale deve caratterizzarsi per una funzione di tutela effettiva e non meramente simbolica.

 

Negli ultimi decenni, il principio di offensività è stato al centro di un acceso dibattito giurisprudenziale e dottrinale. 

 

Più precisamente, gli interpreti si sono interrogati sulla sua applicabilità ai reati di pericolo astratto   e ai cosiddetti “reati senza vittima”. 

 

Questo dibattito è cruciale per comprendere i limiti dell’intervento penale e il rischio di adeguarsi   a un modello prettamente simbolico di diritto penale, cioè più orientato alla repressione e a una funzione deterrente che alla tutela effettiva dei beni giuridici (Mantovani, 2017).

 

Uno degli aspetti più problematici riguarda quindi i reati di pericolo astratto, ovvero quelle fattispecie in cui il legislatore punisce una condotta senza che sia richiesta una prova concreta dell’offesa al bene giuridico tutelato. 

 

Classici esempi di reato astratto sono i reati di guida in stato di ebbrezza o il possesso di sostanze stupefacenti per uso personale. 

 

Da un lato, la dottrina critica l’esistenza di tali reati in quanto essi violerebbero il principio di offensività, di fatto criminalizzando condotte che non producono un danno effettivo.

 

Dall’altro lato, si potrebbe sostenere che il legislatore ha il diritto di prevenire condotte pericolose per la collettività, anche in mancanza di una lesione immediata al bene giuridico (Tuccillo, 2016).

 

L’evoluzione del diritto penale moderno ha condotto gli interpreti ad affermare il principio del c.d. “diritto penale minimo”, secondo cui la sanzione penale dovrebbe essere l’extrema ratio, utilizzata esclusivamente quando gli altri strumenti giuridici risultano inefficaci. 

 

Si tratta di un approccio che si basa sulla necessità di evitare un abuso del diritto penale come strumento di controllo sociale, limitandone l’applicazione ai casi di reale pericolo o danno (Mantovani, 2017).

 

Il principio di offensività si inserisce pienamente nella logica descritta, poiché impone al legislatore di giustificare l’incriminazione di una condotta sulla base di una lesione concreta. 

 

Tuttavia, la tendenza odierna sembra andare nella direzione opposta, con un aumento sostanziale dei reati di pericolo astratto e un’espansione del diritto penale in settori tradizionalmente regolati nel diritto amministrativo (Vassalli, 1982).

 

Riferimenti bibliografici:

  • F. MANTOVANI, Diritto penale. Parte generale, Milano, 2017.
  • F. TUCCILLO, Il principio di offensività, in Ius in itinere, 2016.
  • G. VASSALLI, Considerazioni sul principio di offensività, in Scritti Pioletti, Milano, 1982.