di Roberta Baiano
Napoli, 1656.
La notte cala come un velo sulla città, soffocando ogni rumore e ogni respiro.
Solo il vento si insinua tra i vicoli, portando con sé sospiri lontani, frammenti di preghiere spezzate e lamenti che, forse, non appartengono più ai vivi quando un tuono rimbomba in lontananza e il silenzio si spezza.
Un grido squarcia l’aria, riecheggia tra le mura, rimbalza sulle pietre consumate dal tempo.
È un giuramento di vendetta, un sigillo oscuro che nessuno potrà mai più sciogliere.
Maria ‘a Rossa lancia la sua maledizione.
“La pagherete. Voi, i vostri figli, i vostri nipoti, tutti. La pagherete.“
Nessuno osa rispondere, nessuno osa guardare il suo corpo sospeso nella gabbia che oscilla sotto l’arco di Port’Alba.
Solo il cigolio del metallo accompagna il suo respiro morente, mentre l’aria si fa densa di paura.
Il tempo sembra fermarsi e il cielo stesso trattiene il fiato.
Poi, un soffio gelido attraversa la strada deserta, insinuandosi nei cuori di chi ascolta.
Nessuno dimenticherà quelle parole.
Nessuno oserà sfidare il destino.
Da quel momento, la città e i suoi abitanti sanno che qualcosa di oscuro è stato risvegliato.
Questa, però, è solo la fine della nostra storia.
Cominciamo da principio.
Maria era nata con il fuoco nei capelli e un destino già segnato.
Giovane, bella, ribelle, troppo viva per un mondo che ama tenere a bada le passioni.
Viveva accanto al buco pertuso, un varco scavato dai popolani per entrare in città.
Dall’altra parte della breccia la attendeva Michele, il suo amore, il suo sogno.
Ma i sogni a Napoli, si sa, durano quanto un soffio di vento.
Dopo soli sei mesi, lui la chiede in sposa, e così la felicità sembra regnare finalmente sovrana.
Il giorno delle nozze, però, il destino ha deciso di mostrare la sua faccia più crudele.
Di ritorno a casa, qualcosa trattiene Michele all’altezza di una fontana che tante volte era stata punto di ristoro e di scene quotidiane.
Mani invisibili sembrano bloccarlo stringendolo nella loro morsa.
Maria cerca di chiamarlo, lo implora, cerca di tirarlo a sé in tutti i modi, ma niente.
Lui non si muove.
Maria capisce.
Non è stato solo un capriccio del caso.
Qualcosa di antico, di oscuro, si è risvegliato in quella notte che prometteva solo cose belle.
La fontana, da sempre considerata luogo di passaggio, aveva preteso un pegno.
Un pegno enorme.
Ma perché Michele? Perché non lei?
Il sussurro del vento tra le pietre sembra ridere di un suono sottile e maligno.
Forse una forza superiore, forse un’anima dannata, forse un demone in cerca di vendetta, forse una strega malvagia ha scelto il giovane, lasciando Maria libera di fuggire solo per condannarla a un tormento peggiore.
Quello dell’abbandono, del dolore, della solitudine.
Michele, prendendolo come un segno da dover seguire necessariamente, la lascia.
Da quel momento, l’anima di Maria prende a consumarsi come cenere nel fuoco.
L’amore a tramutarsi in veleno, il dolore in maledizione.
La voce della città comincia a riempirsi di sussurri.
Si diceva, infatti, che Maria praticasse arti oscure, che nelle notti senza luna la si vedesse parlare con ombre senza volto, che chi la faceva infuriare incontrava la malattia o la morte, anche in caso di bambini.
A Napoli, dove le superstizioni sono radicate più delle fondamenta dei palazzi, la paura può diventare condanna.
Così l’Inquisizione non perse tempo.
La trovarono, la catturarono, la chiusero in una gabbia di ferro e la appesero sotto l’arco di Port’Alba.
La condanna è la solita, quella che spetta a tutte quelle donne che non rispettano quel ruolo che il loro tempo le affida.
Strega.
Per giorni la città ascoltò solo il suo silenzio, finché non venne il suo ultimo grido.
La sua ultima maledizione.
Eppure, Maria non svanì.
Il suo corpo non si decompose come tutti gli altri, ma si pietrificò, restando lì, impassibile, come se anche la Morte si fosse rifiutata di prenderla.
Oggi, tra chi passa sotto l’arco, c’è chi giura di sentire un gelo improvviso sulla pelle, un soffio che non è vento, un cigolio sinistro.
C’è anche chi giura di sentire ancora il suo pianto, chi dice che alzare lo sguardo sia fonte delle peggiori sventure.
A Napoli, dove la superstizione è quasi legge e non si sfida il volere dei morti, il consiglio resta quello di affrettare il passo, non guardare in alto, e non nominare il suo nome.
Perché Maria ‘a Rossa non ha mai smesso di cercare vendetta, e la sua maledizione potrebbe non essersi ancora compiuta del tutto.