Il trombettiere che sbagliò esercito due volte.

Il trombettiere che sbagliò esercito due volte.

 

di Roberta Baiano

 

Se esistesse un premio per chi, nella vita, riesce sempre a stare dalla parte sbagliata della Storia, il vincitore assoluto sarebbe – non l’Italia in generale, ma comunque un italiano – lui: Giovanni Martini, in arte John Martin, per gli amici semplicemente “il trombettiere che non morì a Little Big Horn”.

 

Tutto comincia in un paesino della Campania, Sala Consilina, dove in un momento imprecisato del 1800 nasce questo ragazzino curioso e pieno di iniziativa. 

 

A otto anni – più o meno – si becca il passaggio di Garibaldi con le camicie rosse — non proprio Netflix, ma all’epoca era roba grossa. 

Ne rimane folgorato

A quattordici anni scappa di casa per arruolarsi tra i garibaldini. 

Non è del tutto chiaro se sapesse davvero suonare qualcosa o se l’abbia semplicemente sparata grossa pur di farsi arruolare: pare facesse il tamburino, ma chissà.

 

Il primo round storico lo perde a Mentana, dove i garibaldini vengono asfaltati da francesi armati fino ai denti di fucili retrocarica. Un disastro

Ma Giovanni è uno che si rialza. A vent’anni incontra per caso il padre biologico, che finalmente lo riconosce. 

Ora, direte: una riconciliazione familiare commovente? Macché. 

Il punto è che, essendo figlio unico riconosciuto, Giovanni evita la leva obbligatoria. 

Applausi. Passaporto. 

E via: si imbarca per l’America nel 1873 sulla SS Tyrian, sbarcando a Castle Garden, prima che Ellis Island diventasse il primo cool dei più recenti residence in Albania.

 

Lì, tra un tracollo economico che colpisce tutta l’America e l’impossibilità di trovare un lavoro decente, cambia nome — John Martin, suona meglio — e si arruola nell’esercito perché, diciamolo, le alternative erano peggio. 

Finisce nel Settimo Cavalleria. Trombettiere, questa volta. 

Anche in questo caso, non si sa se sapesse davvero suonare, ma tanto bastava soffiare con convinzione. Stavolta è sotto il comando del generale Custer, un biondino col vizio delle imprese spettacolari. Spoiler: finisce male.

 

Nel 1876, nelle Black Hills, John si trova nel bel mezzo del caos. Gli indiani di Toro Seduto e Cavallo Pazzo sono ovunque, Custer sbraita ordini a caso, lui suona la tromba come un disperato – o ci prova – e alla fine, quando le cose si mettono proprio male, il generale gli infila in mano un biglietto contenente una richiesta di rinforzi e gli intima di andare.

 

John galoppa come un dannato. Corre, sprona, suda. Ma nessun rinforzo arriva. Tutti morti. Tutti tranne lui. L’unico a salvarsi. L’unico a sapere cosa successe davvero in quel massacro.

 

E così, dopo la guerra, si ritira a vita civile. 

Prima a Baltimora con un negozietto di dolciumi, poi a New York come bigliettaio della metro. Ma la sorte, si sa, ha un senso dell’umorismo tutto suo: il 18 dicembre 1922, viene investito da un camion carico di birra. 

Per uno che ha sfidato francesi, sioux e fucili retrocarica, finire sotto a un furgone da pub è decisamente ironico.

 

Oggi riposa al Cypress Hill National Cemetery, sotto una lapide che dice tutto: 

 

“Portò l’ultimo messaggio del generale Custer nella battaglia di Little Big Horn, 25 giugno 1876”.

 

L’unica lapide diversa dalle altre, perché Giovanni Martini non fu uno qualunque

Fu il trombettiere delle disfatte, il suonatore solitario, il garibaldino mancato e il cavaliere di sventura.