American Psycho alla Casa Bianca.

American Psycho alla Casa Bianca.

di Roberta Baiano

 

In un mondo in cui l’estetica della violenza si confonde con quella del successo, American Psycho non è un’opera di fantasia, ma purtroppo il diario mascherato di una società in decomposizione. 

 

Patrick Bateman, narcisista patinato, maniaco dell’ordine e del marchio, incarna la degenerazione del sogno americano in farsa sanguinaria. 

E non è un caso che il suo idolo, tra le righe e nel testo stesso, sia Donald Trump. 

 

Il mito dell’imprenditore inflessibile, il ricco inscalfibile, l’americano vincente che si impone nonostante tutto, o forse proprio grazie a quel tutto che è fatto di prevaricazione, sadismo, assenza totale di empatia. 

 

Il collegamento tra Bateman e Trump non è solo narrativo, è culturale. 

È il cuore stesso di una diagnosi che ci riguarda e di una società che elegge come modello un narcisista maligno

 

Il disturbo descritto da Erich Fromm non è solo un profilo clinico, è la radiografia di una democrazia che ha ormai quasi del tutto abdicato al senso critico, che applaude mentre l’integrità viene macellata nel nome del profitto, che finge di non vedere quando il potere si tinge di psicopatia e machiavellismo. 

 

La triade oscura, così, non è più solo una classificazione psicologica, ma è addirittura una strategia di governo e un programma elettorale. 

 

Bateman uccide in silenzio e poi prenota il tavolo al Dorsia; Trump invece urla, offende, espone i muscoli verbali davanti alle telecamere e posta tweet sempre più cringe.

Il meccanismo, però, è lo stesso: un godimento sadico nel distruggere, la certezza paranoica che tutti stiano tramando qualcosa a proprio danno, l’assenza di rimorso, la razionalità calcolatrice che manipola, domina, ride del dolore altrui. 

 

C’è in entrambi un’autostima tossica che cresce a ogni ferita inflitta, il delirio d’onnipotenza, il bisogno compulsivo di controllo. 

Ma se Bateman è il frutto terminale di una cultura dell’apparenza, Trump ne è la conferma storica. 

 

Entrambi agiscono in ambienti dove nessuno ascolta, dove tutti si scambiano nomi e facce, dove i “colletti bianchi” non notano il sangue sui polsini perché troppo presi a confrontare biglietti da visita. 

E se nel romanzo il sangue è metafora, nella realtà politica il sangue è concreto ed è fatto di libertà soppresse, diritti calpestati, tensioni sociali armate e pronte a esplodere. 

 

Lo studio del 2019 che evidenziava in Trump i punteggi più alti in narcisismo, psicopatia e machiavellismo rispetto ad altri 21 leader populisti non è solo un dato allarmante, è una sentenza che risuona: è stato, cioè affidato il potere a un uomo che incarna il lato più tossico e pericoloso della mente umana, e gli è stata data pure una seconda possibilità. 

 

Ancora come Bateman, anche Trump non è pazzo – sarebbe bellissimo, se fosse così facile -nel senso banale del termine. 

È, anzi, lucido, strategico, dominato da una logica interna che serve solo se stessa.

 

Ma se il primo – fortunatamente – resta una creazione letteraria a monito di dove possiamo andare a finire, il secondo è – purtroppo – la realtà che ci dice che lì ci siamo già. 

 

La domanda, dunque, non è quanto Trump sia simile a Bateman, ma perché milioni di persone lo abbiano ammirato proprio per quei tratti. 

 

Forse, in fondo, American Psycho non ci racconta solo un incubo individuale, ci mette davanti al volto grottesco di un potere che abbiamo smesso di riconoscere come mostruoso solo perché si veste bene e ci somiglia troppo.