Trump contro il pensiero libero.

Trump contro il pensiero libero.

di Roberta Baiano

 

Un nuovo e pericoloso fronte si è aperto nella battaglia culturale americana, e questa volta l’obiettivo non è un’entità astratta, ma il cuore dell’intelligenza critica del Paese: le Università. 

 

L’amministrazione Trump, infatti, ha intrapreso un’aggressiva campagna di pressione, minacciando di sottrarre miliardi e miliardi di dollari in fondi pubblici alle istituzioni accademiche che non accetteranno una supervisione diretta da parte del governo su programmi didattici, selezione degli studenti, linee di ricerca e gestione interna dei campus.

 

La svolta si è manifestata con decisione già dai primi mesi dell’anno, quando il Dipartimento dell’Interno ha istituito niente poco di meno che una task force, ufficialmente pensata per contrastare l’antisemitismo, in realtà avente l’intento di trasformare le università in spazi docili e conformi all’ideologia conservatrice dominante

 

L’attenzione si è così concentrata su alcuni tra gli atenei più prestigiosi del Paese – Harvard, Columbia, Princeton, Brown, Cornell, Northwestern, l’Università della Pennsylvania – tutti casualmente situati in stati a maggioranza democratica e simbolo di una tradizione accademica indipendente.

A queste si sono via via aggiunte istituzioni come Berkeley e Johns Hopkins, anch’esse sottoposte a indagini e verifiche politicamente orientate. 

 

L’accusa? 

Essere focolai di quella che Trump e i suoi alleati definiscono la woke-virus, che si manifesta semplicemente nell’impegno per l’inclusione, l’equità e il pensiero critico. 

In realtà, è lapalissiano che il vero bersaglio è l’autonomia stessa del sapere, vista come una minaccia concreta a un disegno autoritario che mal tollera le voci dissonanti, come non manca di manifestare tutti i giorni.

 

Harvard, così, è diventata un caso emblematico. 

Anche se minacciata del congelamento di oltre due miliardi di dollari in finanziamenti federali, l’università ha rifiutato ogni compromesso, respingendo le richieste dell’esecutivo di eliminare iniziative legate alle pari opportunità e di fornire dati sugli studenti e sui docenti suddivisi per razza, nazionalità, rendimento e ideologia politica. 

L’idea di un’università sotto ispezione governativa, costretta a giustificare ogni scelta accademica in base a criteri politici, ha fatto scattare finalmente una reazione decisa, e così l’ateneo ha fatto sapere che l’indipendenza costituzionale non è negoziabile.

 

Non tutte le università hanno, però, tenuto il punto. 

La Columbia, per esempio, ha rivisto parte dei suoi corsi in linea con le direttive federali, arrivando a espellere studenti stranieri in seguito a manifestazioni giudicate “ostili” alla linea dell’esecutivo. 

 

La minaccia, comunque, non si è limitata ai finanziamenti. 

L’amministrazione Trump, infatti, ha messo nel mirino anche le esenzioni fiscali di cui godono le università, tra sgravi, agevolazioni alle donazioni e privilegi che valgono oltre un miliardo e mezzo di dollari l’anno. 

 

Quello che si vuole sottolineare, però, è che al di là dell’aspetto economico, è chiaro che si vuole colpire un simbolo: quello di un’istruzione superiore libera, pluralista e capace di formare cittadini critici.

 

Inoltre, da questo scontro emerge anche un dato politico preciso, ossia che vi è la polarizzazione educativa. 

Non a caso, gli elettori di Trump, per lo più maschi, bianchi, cristiani e non laureati, si sentono esclusi da un sistema accademico che considerano elitario e ideologicamente distante. Eppure, paradossalmente, lo stesso Trump si è formato alla Wharton School dell’Università della Pennsylvania, che non a caso ha sfornato e sforna la maggior parte dei miliardari americani.

 

Diversi docenti hanno deciso di reagire legalmente. 

Prima Harvard, poi – il 14 aprile – altre nove università tra cui Caltech, MIT e Princeton, insieme a tre associazioni accademiche, hanno intentato causa all’amministrazione Trump per difendere la propria autonomia e contrastare quello che sempre più si dimostra come un tentativo sistematico di smantellare l’indipendenza intellettuale.

 

Insomma, non si tratta di una semplice divergenza di vedute. 

È uno scontro tra due concezioni opposte di società.

La prima fondata sulla libertà di pensiero, l’altra sul controllo ideologico. 

 

L’università – come la scuola più in generale – per sua natura, è uno spazio di confronto, di ricerca, di critica e questa sua indipendenza è ora sotto attacco perché Trump non cerca un dialogo, cerca la sua sottomissione

 

Le sue dichiarazioni pubbliche, tra cui l’accusa a Harvard di insegnare – e qui si cita – “odio e imbecillità” certamente non lasciano spazio ad altre interpretazioni. 

L’obiettivo, sia chiaro, non è la riforma dell’istruzione, ma il suo annientamento come spazio libero di pensiero. 

 

Perché, se il sapere deve rispondere al potere, allora non è più sapere: è propaganda.