Il sipario strappato

Il sipario strappato

di Roberta Baiano

 

Non si può chiedere silenzio a chi ogni giorno vede spegnersi la possibilità di lavorare, creare, vivere di cultura. 

Eppure, è ciò che sembra voler fare il Ministro della Cultura, Alessandro Giuli, davanti a una protesta che cresce, si articola, prende parola – e rifiuta di farsi ridurre al solito teatrino ideologico.

 

Quasi duecento tra registi, attrici, tecnici, sceneggiatori e produttori hanno firmato una lettera aperta indirizzata al Ministro, chiedendo un confronto vero. 

Chiedono di affrontare la realtà: il cinema italiano è in difficoltà, e le scelte del governo – o l’assenza di scelte – hanno avuto un ruolo determinante. 

 

Il nodo cruciale è quello che tutti nel settore conoscono: ritardi, incertezze, promesse non mantenute, riforma del tax credit. 

È un cortocircuito che ha travolto in particolare le produzioni più piccole, le più vulnerabili, ma anche le più coraggiose.

 

E mentre la casa brucia, si discute della legittimità di una battuta. 

Perché la conduttrice, Geppi Cucciari, ha osato inserire una nota ironica – che poi, oltre a un suo diritto, si tratterebbe anche di ciò che richiede il suo lavoro – durante il David di Donatello. 

Perché l’attore, Elio Germano, ha detto apertamente ciò che in molti pensano: che la situazione è grave e che il Ministero dovrebbe prendersene la responsabilità. 

Non lo ha fatto con urla o slogan, ma con le parole dirette di chi ne ha abbastanza. 

E per tutta risposta si è trovato dipinto come una voce fastidiosa, accusata di “cianciare in solitudine”.

 

È una linea pericolosa, quella tracciata dal Ministro. 

Pericolosa non solo per chi lavora nel cinema, ma per chiunque creda che il dissenso non sia un lusso, ma un diritto. 

 

Quando chi rappresenta le Istituzioni prende di mira con nomi e cognomi chi lo contesta, il problema non è la sensibilità personale, ma il principio democratico che si incrina. 

Per l’ennesima volta.

 

Non è satira, quella che si vuole zittire: è dissenso legittimo, è critica fondata, è partecipazione attiva alla vita pubblica.

 

La reazione del mondo del cinema è stata compatta, non per spirito corporativo, ma per senso di responsabilità. 

La lettera, inviata anche ai sottosegretari Mazzi e Borgonzoni, è un invito alla politica a uscire dalla trincea ideologica, a guardare in faccia la crisi, a smettere di sminuire chi la denuncia. 

 

L’ennesimo attacco alla sinistra, ai comici, agli “influencer” presunti traditori dell’intellettualità, non sposta di un millimetro il problema vero, ossia chi governa oggi è chiamato a rispondere, non a rievocare gli spettri di un fantomatico passato per evitare il presente.

 

A nessuno interessa una guerra tra Guelfi e Ghibellini. 

Qui si parla di lavoro, di visione e di futuro. 

 

La cultura italiana non può sopravvivere a colpi di sarcasmo istituzionale, né può essere umiliata da chi ne fa un campo di battaglia politico-ideologico becero. 

È tempo di scegliere se rappresentare davvero il Paese o continuare a recitare da soli un film a cui si è affezionati, davanti a una platea che fortunatamente si sta svuotando sempre più velocemente.