Strage di Erba: ecco le motivazioni della Corte di Cassazione

di Luca Orlando
La strage di Erba, avvenuta l’11 dicembre 2006, è uno degli episodi più drammatici e divisivi della recente cronaca italiana.
In quella tragica sera persero la vita quattro persone: Raffaella Castagna, suo figlio di appena due anni Youssef Marzouk, sua madre Paola Galli e la vicina di casa Valeria Cherubini.
Il marito di quest’ultima, Mario Frigerio, sopravvisse all’aggressione e diventò testimone chiave nel processo che portò alla condanna di Olindo Romano e Rosa Bazzi, i due coniugi accusati di aver compiuto la strage per vecchi rancori di natura prettamente condominiale.
La sentenza definitiva arrivò nel 2011: ergastolo per entrambi.
Negli anni successivi, tuttavia, il caso ha continuato a far discutere, sia per l’efferatezza del crimine sia per i dubbi che alcune parti dell’opinione pubblica hanno sollevato sull’effettiva colpevolezza dei due imputati.
Di recente, un nuovo tentativo di revisione del processo è stato sottoposto all’attenzione della Corte di Cassazione, sostenuto dal sostituto procuratore generale di Milano, Cuno Tarfusser, figura nota anche a livello internazionale per il suo passato alla Corte penale dell’Aia.
Tarfusser ha chiesto di riaprire il caso, basandosi su elementi che a suo dire potrebbero indicare l’innocenza dei due condannati. Secondo la sua analisi, vi sarebbero stati vizi nell’indagine, elementi trascurati e possibili forzature nelle confessioni rese da Olindo e Rosa, successivamente ritrattate. Tuttavia, la Corte ha rigettato il ricorso, giudicandolo inammissibile.
La motivazione ufficiale è doppia: da un lato, le prove presentate non sono state ritenute sufficientemente inedite e decisive; dall’altro, è stato contestato lo stesso ruolo del procuratore generale, che non avrebbe avuto titolo per richiedere la revisione, sollevando così anche un vizio formale nel procedimento.
I giudici hanno inoltre ribadito la forza dell’impianto accusatorio che ha portato alla condanna definitiva dei due imputati, sottolineando come elementi come le tracce ematiche sull’auto, le confessioni, e le dichiarazioni del superstite Frigerio costituissero un quadro probatorio robusto.
Le nuove ipotesi difensive, che si appoggiavano anche su possibili testimonianze alternative o riletture dei referti tecnici, sono state bollate come congetture non sufficientemente ancorate a dati oggettivi.
La decisione della Cassazione ha immediatamente sollevato reazioni contrastanti.
I familiari delle vittime si sono detti sollevati per la conferma della condanna e la chiusura definitiva di una ferita mai rimarginata, mentre gli avvocati dei coniugi hanno espresso forte delusione, sottolineando come questa fosse un’occasione mancata per chiarire definitivamente ogni dubbio e assicurare la piena trasparenza della giustizia.
Il dibattito pubblico si è riacceso anche sui social e sui media, dove da anni si è formata una corrente d’opinione che sostiene l’innocenza di Olindo e Rosa, dipinti da alcuni come due vittime di una giustizia troppo sbrigativa e condizionata dall’opinione pubblica.
La sentenza ha anche evidenziato le tensioni all’interno della stessa magistratura, con figure come Tarfusser che contestano apertamente le dinamiche e le decisioni prese dai colleghi.
Al centro della questione rimane un interrogativo cruciale: è possibile che due persone possano essere condannate ingiustamente anche con tre gradi di giudizio, e se sì, in quali condizioni si può davvero garantire un processo equo e imparziale?
Ad oggi, la risposta fornita dalla Cassazione è netta e definitiva: non ci sono elementi nuovi, il processo è stato condotto regolarmente, e la sentenza resta valida.