Lettera a chi ha avuto il coraggio di restare politico

Lettera a chi ha avuto il coraggio di restare politico

di Roberta Baiano

 

Ho da poco terminato la lettura di Chiedimi chi erano i Beatles. I giovani, la politica, la storia, scritto da Pier Luigi Bersani ed edito da Rizzoli. 

Devo dire che non è un gesto abituale per me comprare libri scritti da politici – e non per snobismo, ma per una convinzione che trovo tutto sommato ragionevole: troppo spesso si tratta di esercizi di retorica, di autobiografie mascherate da analisi, di tentativi più o meno espliciti di autocelebrazione.

 

Eppure, ho scelto di acquistare questo libro

In ebook, per comodità: lo spazio di lettura è quello tra casa e lavoro, sui mezzi, in quelle ore in cui serve qualcosa che tenga svegli anche i pensieri. 

L’ho scelto perché su Bersani ho una convinzione diversa, ossia che non è il tipo da scrivere per farsi bello e non è il tipo da curarsi troppo dell’immagine riflessa nello specchio. 

 

A lui tengo, molto. Si sarà capito.

Ma posso promettere che ciò che leggerete di seguito è scritto con lucidità e onestà.

 

Bersani è stato il destinatario del mio primo voto in assoluto, e ancora oggi – ripensando a tutti i Segretari che si sono avvicendati alla guida del Partito Democratico – continuo a vederlo come uno dei pochissimi davvero dediti al Partito, e non alla propria figura pubblica. 

Uno dei pochi che ha messo la responsabilità politica davanti a tutto, anche nei momenti più duri. Anche quando ha dovuto fare i conti con la malattia, ed è tornato in Parlamento appena ha potuto reggersi in piedi.

 

È un uomo che ispira fiducia. 

Che conserva rispetto per chi ha meno, per chi sta ai margini, per chi la propria voce la sta ancora costruendo. 

E questo libro è esattamente così, come lui: onesto, mai autoindulgente, capace di guardare in faccia la storia, il presente, e le sfide che ci aspettano. 

Non c’è nostalgia fine a sé stessa, non c’è il peso delle frasi fatte. 

C’è invece un racconto che assomiglia a un dialogo intimo, come tra un padre e una figlia, tra chi ha già visto molto e chi si prepara a scegliere come guardare il mondo.

 

Per questo ho pensato che il modo più giusto per parlarvene fosse usare la forma della lettera. 

Una lettera diretta a lui, ma anche a voi che leggete. 

Per raccontare non solo cosa contiene questo libro, ma che cosa mi ha lasciato.

 

Caro Bersi,

ci sono letture che ti accompagnano, e poi ci sono letture che ti scuotono. 

La tua è tra queste ultime. 

Non perché gridi o perché si imponga, ma perché ha il tono raro di chi parla solo quando ha qualcosa da dire, e non per occupare spazio. 

È la voce di chi ha deciso, tempo fa, che il proprio impegno sarebbe rimasto politico anche quando tutto sembrava volerlo ridurre a tecnica o a mestiere.

 

Oggi vorrei che arrivasse a chi legge il messaggio che esiste ancora qualcuno di cui ci si può fidare, perché non si è arreso. 

Perché non si è mai sottratto alla responsabilità di tenere insieme l’azione e il pensiero. 

Perché, mentre molti si rifugiano nel commento, è rimasto esposto nel conflitto senza perdere il senso della misura, e nemmeno quello dell’urgenza.

 

Una delle cose più potenti del tuo libro è il modo in cui restituisci alla politica la sua dignità più profonda. 

La spogli dei travestimenti dell’ego, del calcolo, della rassegnazione, e la riporti lì dove nasce davvero: nel momento in cui capisci che da soli non si basta. 

Che serve un qualcosa di più largo, più giusto, più umano. 

Che il benessere ha valore solo se è condiviso; e che ogni volta che qualcosa di nuovo emerge nella società, il compito non è giudicarlo da lontano, ma accompagnarlo, e aiutarlo a prendere forma senza tradirne il senso.

 

Hai messo in parole quello che molti sentono, ma non sanno dire, ossia che la democrazia è affascinante solo se promette uguaglianza, solo se mantiene viva l’idea di un’emancipazione possibile. 

E che, se smette di farlo, si spegne. 

 

È successo qualcosa, e tu non lo neghi, ma non chiudi il discorso con amarezza. 

Anzi, lo riapri con un invito: rimettere tutto in carreggiata.

 

Insomma, ancora una volta non hai scelto la scorciatoia del cinismo, né l’eleganza sterile del disincanto. 

Hai continuato a mettere “l’orecchio a terra”, dove le cose si muovono davvero. 

Hai ricordato che la buona politica non si costruisce con frasi ad effetto, ma con una pratica quotidiana, fatta anche di dubbi, di ascolto, di trasformazione. 

Hai scritto che le parole, se dette davvero, cambiano il pensiero, e in questo, forse, sta il gesto più coraggioso del tuo libro.

 

È per questo che scrivo oggi, con rispetto e con affetto. 

Perché, in mezzo a un paesaggio pubblico che risulta spesso stanco, la tua voce resta nitida

 

Non infallibile – e tu per primo non pretenderesti mai questo – ma autentica. 

Ed è tanto. Forse tutto.