Colpire chi lavora sui beni confiscati è colpire lo Stato: serve una risposta immediata e concreta
Ogni incendio in un fondo confiscato, ogni furto in una cooperativa che restituisce vita e dignità a un bene sottratto alla criminalità organizzata, è un attacco allo Stato. È un segnale lanciato a chi ha scelto di restare, di resistere, di ricostruire.L’ultimo episodio, accaduto a Santa Maria La Fossa in provincia di Caserta, è solo l’ennesimo. Per il terzo anno consecutivo è stato dato alle fiamme il campo gestito da Terra Felix, cooperativa sociale che lavora un bene appartenuto al boss Francesco Schiavone, detto “Sandokan”.
Non è solo un danno economico – pure grave, dato che l’intero raccolto è andato perduto – ma un colpo al cuore del riscatto civile. Francesco Pascale, direttore della cooperativa, parla con amarezza ma anche con determinazione: la loro missione non si ferma. Anna Ceprano, presidente di Legacoop Campania, ha definito l’atto “vile e riprovevole”, riaffermando la volontà del mondo cooperativo di non arretrare di fronte alla violenza. Eppure, queste parole, per quanto giuste, non bastano più. Non possono bastare.
Negli stessi giorni, la cooperativa Valle del Marro in Calabria è stata incendiata. A Ramacca, in Sicilia, la Beppe Montana Libera Terra è stata colpita da un furto. Siamo davanti a una strategia intimidatoria diffusa. Dietro ogni cooperativa attaccata c’è una comunità che lavora, che crede in un futuro diverso. Lo Stato deve garantire che queste realtà non siano lasciate sole.
È ora che le istituzioni – dal governo centrale alle amministrazioni locali – riconoscano in modo chiaro che difendere chi lavora sui beni confiscati significa difendere la legalità, la giustizia, e la dignità del Paese. Servono risorse, protezione, interventi strutturali. Chi brucia un campo sta tentando di bruciare una speranza. Non possiamo permetterglielo.