Privazione illegittima della libertà personale: quali garanzie per chi la subisce?

Privazione illegittima della libertà personale: quali garanzie per chi la subisce?
di Luca Orlando

 

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha acceso i riflettori su un tema tanto delicato quanto poco esplorato: le forme meno visibili – ma non per questo meno pesanti – di privazione della libertà personale. 

 

Il caso riguarda un uomo che non ha trascorso la sua pena dietro le sbarre, bensì in una “casa di lavoro”, una struttura alternativa di custodia. 

Eppure, per la Suprema Corte, quella misura ha avuto gli stessi effetti di una vera e propria detenzione illegittima.

 

Il protagonista della vicenda è rimasto sottoposto per un lungo periodo a restrizioni rigide, equiparabili a quelle carcerarie, senza che vi fosse una reale necessità giuridica a giustificarle. Sorveglianza costante, obblighi stringenti, libertà di movimento praticamente annullata: tutti elementi che hanno portato i giudici a riconoscere l’ingiustizia subita. 

La decisione? Un risarcimento vicino al mezzo milione di euro.

 

Si tratta di una cifra che non passa inosservata, ma che soprattutto manda un segnale forte: anche quando non si parla di carcere in senso stretto, le limitazioni della libertà vanno giustificate con estrema attenzione. 

Nessuna misura cautelare può trasformarsi, nei fatti, in una punizione arbitraria.

 

Questo orientamento della Cassazione si inserisce in un contesto più ampio. 

 

In Italia, i casi di detenzione ingiusta – sia in cella che in condizioni alternative – non sono affatto rari. 

Secondo i dati del Ministero della Giustizia, nel solo 2024 lo Stato ha speso quasi 27 milioni di euro per riparare errori simili, accogliendo oltre 550 richieste. 

 

Dal 2018 a oggi, i casi accertati sono più di 4.900. 

Una cifra impressionante, che parla di una media stabile di circa 1.000 domande l’anno e di un esborso pubblico totale che sfiora il miliardo.

 

Nonostante ciò, le responsabilità personali restano praticamente un miraggio. 

Tra il 2017 e il 2024, a fronte di migliaia di detenzioni illegittime, solo nove procedimenti disciplinari si sono conclusi con una sanzione ai magistrati coinvolti. 

Appena 89 i procedimenti avviati. 

Il divario tra errori giudiziari e conseguenze concrete per chi li ha commessi è ancora profondo.

 

Nel caso specifico, la Cassazione non si è limitata a riconoscere il danno subito dal singolo. 

Ha voluto ribadire un principio chiave: anche le misure meno “visibili” possono costituire una violazione grave dei diritti fondamentali. 

E in questi casi, il risarcimento non è solo un atto di giustizia verso la persona, ma un richiamo all’intero sistema. 

 

La libertà personale non si tocca senza ragione – né dentro né fuori dal carcere.