Difensore di fiducia e difensore d’ufficio: un profilo critico sollevato dalla Corte di cassazione

Difensore di fiducia e difensore d’ufficio: un profilo critico sollevato dalla Corte di cassazione
di Luca Orlando

 

Pensate a un difensore, impegnato a tutelare il proprio assistito che è stato giudicato in sua assenza. Da una parte c’è la responsabilità di seguire un iter complesso, dall’altra un sistema che, in teoria, dovrebbe garantire equità

 

Ecco perché la Corte d’Appello di Roma, con un’ordinanza del 1° aprile 2025, ha sollevato un nodo cruciale: l’articolo 585, comma 1-bis, del codice di procedura penale, che concede 15 giorni in più per impugnare, viene applicato indistintamente sia al difensore di fiducia sia a quello d’ufficio. 

Ma allora la giustizia è davvero equa?

 

Per capire il problema, serve una breve premessa. 

Dopo la “riforma Cartabia” e la legge del 9 agosto 2024 (“riforma Nordio”), il difensore di fiducia non ha più l’onere di procurarsi un mandato ad hoc dopo la sentenza, mentre quello d’ufficio sì: senza quel documento, l’impugnazione è inammissibile. 

 

E proprio per dare tempo a chi non aveva mandato prima, l’art. 585, comma 1-bis concede automaticamente 15 giorni extra.

Fin qui nulla da eccepire, sembra equo. 

 

Ma l’ordinanza osserva che questo prolungamento vale anche per il legale di fiducia, che ormai non deve più ottenere un nuovo mandato. 

 

In pratica, due difensori in condizioni completamente diverse, uno obbligato a reperire documenti, l’altro no, vengono equiparati: beneficiano entrambi dei 15 giorni supplementari. 

La Corte li definisce «soggettivamente ed oggettivamente differenti», rendendo evidente una vulnerazione del principio di uguaglianza sancito dall’art. 3 della Costituzione.

 

Una contraddizione logica emerge ancora più chiaramente: se il mandato non serve più al difensore di fiducia, perché mantenere per lui un termine più lungo pensato per l’esigenza opposta? 

Un tempo utile a “ricercare l’imputato e procurarsi il mandato”, che non serve più a chi era solo assente in aula, ma per altri motivi.

 

Ecco perché la Corte di Appello chiede alla Consulta di pronunciarsi: si tratta di un buco legislativo, un mancato allineamento tra norme, che coinvolge due figure non assimilabili. 

E tocca il cuore del processo: se la legge si applica indistintamente a condizioni diverse, ne deriva un’ingiustizia.

 

In termini concreti, cosa può succedere? 

Un difensore di fiducia potrebbe presentare l’impugnazione più tardi, avendo diritto ai 15 giorni extra, mentre il collega d’ufficio – senza mandato – rischierebbe l’inammissibilità. 

Oppure, un avvocato ben organizzato ma assente in aula avrebbe un privilegio temporale ingiustificato.

 

Il sentimento che emerge da questa pronuncia è duplice: da un lato, apprezziamo l’attenzione dei giudici al principio di equità; dall’altro, resta la sensazione che il legislatore debba intervenire prima che la disparità diventi regola consolidata.