Svegliati alle 5.00, mangia avocado e… resta povero.

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Svegliati alle 5.00, mangia avocado e… resta povero.

di Roberta Baiano

 

Ci sono due tipi di persone al mondo: quelli che ogni mattina si alzano alle 5 per “prendere in mano la loro vita” e quelli che alle 5 stanno ancora facendo calcoli su quanti giorni possono sopravvivere con 12 euro sul conto. 

 

I primi leggono libri motivazionali, ascoltano podcast dal titolo “Diventa il CEO di te stesso” e credono che basti cambiare mindset per diventare milionari. 

I secondi, pure. Solo che, quando sentono per la prima volta la parola “mindset”, pensano che sia un’app per ottenere lo sconto alla Coop.

 

Eppure, la retorica è sempre la stessa: se non ce la fai, è colpa tua. 

Sei pigro, sei poco determinato, non hai la morning routine giusta. 

 

Che poi il self-made man non dorma mai e sia sempre in modalità “grind” è ormai un comandamento della religione del merito. 

Ma chissà perché, quando guardiamo meglio, questi santoni del successo hanno tutti un dettaglio in comune: una dose di culo cosmico e qualche partenza in pole position.

 

Ma c’è un problema gigantesco.

Questo culto si regge su un errore cognitivo con tanto di nome scientifico, il bias del sopravvissuto

 

Tradotto per i comuni mortali: concentriamoci solo su chi ha avuto successo e ignoriamo allegramente la sterminata folla di chi ha fallito. 

I cadaveri imprenditoriali non fanno storie motivazionali, non vendono libri, non attirano click. Eppure, forse proprio da loro avremmo qualcosa da imparare.

 

Invece ci ostiniamo a rovistare nelle vite dei milionari con la stessa ossessione di chi cerca numeri fortunati sul biglietto della lotteria. 

A che ora si svegliano? 

Alle cinque? Perfetto: da domani sveglia puntata alle 4:59, così li frego sul tempo. 

 

E cosa mangiano a colazione? 

Avocado toast? 

Giù di avocado a colazione, pranzo e cena – che poi a me l’avocado mi fa pure un brutto effetto allo stomaco! 

 

Ah, e poi meditano? 

E allora tutti a contare respiri come monaci zen, in una palestra pagata 99 euro per un anno.

 

C’è qualcosa di tragicomico in questa caccia alle abitudini vincenti, come se bastasse copiare la lista della spesa di Elon Musk per diventare il prossimo Steve Jobs. 

La verità, però, è purtroppo un’altra, molto meno instagrammabile: la maggior parte di noi non ha un jet privato di emergenza, non ha amici nella Silicon Valley pronti a investire, e soprattutto non parte dalla stessa linea di partenza.

 

Il mito del self-made man ci racconta che “se vuoi, puoi”, che la vita è una gara di velocità e che i più bravi tagliano il traguardo con le braccia alzate, ma dimentica di dire che qualcuno corre coi pesi alle caviglie, mentre altri viaggiano su un monopattino motorizzato.

 

In Italia quasi sei milioni di persone vivono in povertà assoluta. 

Il 15,2% dei giovani è bloccato nella palude dei NEET – né scuola, né lavoro, né formazione. 

Il 12% dei lavoratori sono working poor, schiacciati da stipendi da fame nonostante orari da schiavi. 

650mila famiglie aspettano una casa popolare che non arriva mai, mentre la fila per un pacco alla Caritas cresce ogni giorno.

 

Ma certo, se non ce la fanno, è perché non si sono impegnati abbastanza. 

 

Questa retorica è, in pratica, diventata la liturgia di un’epoca che trasforma la povertà in peccato e la ricchezza in santità per cui se sei ricco, meriti tutto, se sei povero, te lo sei cercato. 

Punto.

 

C’è anche un dettaglio che passa spesso sotto silenzio, ma che è bene fare sempre presente, ossia che il corrispettivo femminile di self-made man non esiste. 

Ora, già solo questo dovrebbe farci drizzare le antenne perché, se davvero il talento e la forza di volontà fossero gli unici ingredienti del successo, allora dovremmo vedere la metà dei grattacieli intitolati a donne partite da zero. 

E invece… 

 

Mentre noi ci agitiamo sui social con la foga di chi spera che la prossima morning routine cambierà la nostra vita, una generazione intera vive in un eterno presente. 

Non più con la paura del futuro, come noi millennials già bruciati da crisi su crisi e schiavi di tutta una serie di sintomi legati alla sindrome post-traumatica da stress, ma con la certezza che il futuro non esiste. 

 

Per loro l’obiettivo è, e resta, sbloccare il livello successivo solo per scoprire che conduce a un vicolo cieco, perché alla fine, la cruda verità è solo che il successo non è una ricetta da replicare. 

 

Non esiste un ingrediente segreto. 

Esiste il caso. 

Esiste la fortuna. 

Esiste il privilegio. 

 

Ma questi non finiscono mai nei titoli dei podcast motivazionali. 

Perché la narrativa del “ce la puoi fare” è un business milionario. 

Non a caso, chi ci guadagna sono sempre quelli che ce l’hanno già fatta.

 

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