di Alessandra Macci e Domenico Cirella
“Un celebre compagno di partito […] vide la neodeputata fumare tranquillamente la sua pipa su un divanetto di Montecitorio e irritato domandò chi era quella spudorata. Gli risposero che si trattava di un’onorevole comunista […]. Natta cercò di gettare un po’ di acqua sul fuoco, ma la reproba con pipa dovette subire una sorta di piccolo processo silenzioso, uscendone naturalmente vittoriosa” (Sandra Artom, L’onorevole minoranza. Otto protagoniste della politica raccontano, Marietti, Bologna, 1999, p. 190).
Ersilia Salvato nasce a Castellammare di Stabia il 30 giugno 1941. Primogenita di quattro figli, già a quattordici anni, per le modeste condizioni economiche – la madre era casalinga e il padre, manovale delle Ferrovie dello Stato, concluse la sua carriera di ferroviere da capostazione – cercò di essere di supporto alla famiglia facendo il “doposcuola” per ragazzini che avevano appena uno o due anni meno di lei. Un impegno che, al di là delle (reali) necessità familiari, era anche il risultato della lezione di autonomia e libertà impartitale dalla famiglia stessa, che le insegnava, oltre alle capacità di ragionare su grandi questioni, l’importanza di perseguire quanto prima l’indipendenza economica. Figure di riferimento furono in quegli anni – pur con scarsa scolarizzazione – innanzitutto il padre; e successivamente le due nonne che, rimaste vedove giovanissime, rappresentavano, in una società condizionata da maldicenze e credenze religiose, un modello di figura femminile forte e anticonformista. Donne che – in particolare la nonna materna – non avevano a scandalizzarsi neppure davanti alla vista di una giovane nipote che fumava “tranquillamente” la pipa.
In un bar gestito proprio dalla nonna materna, bar in cui si riunivano sia gli operai per giocare a carte che intellettuali di Castellammare di Stabia, ebbe la possibilità di assistere a discussioni sul ruolo di partiti politici e sindacato, nonché di quello della Chiesa cattolica.
Per il momento, nella sua vita da ragazzina, non c’era posto per la politica, di cui, peraltro, poco si parlava in famiglia. C’era infatti quel gravoso dovere pomeridiano, che la costringeva poi a studiare, per gli impegni scolastici (era iscritta al ginnasio) nelle prime luci dell’alba, ore in cui trovava anche il tempo per leggere libri di varia natura, da quelli di filosofia ai gialli, fino ad arrivare a quei suoi autori preferiti che divennero presto Gramsci e Dewey. E poi, già in quegli anni, l’amore. Proprio a 14 anni conobbe infatti Franco Perrelli, ventunenne studente universitario, futuro insegnante, che otto anni dopo sarebbe divenuto suo marito, e padre dei suoi due figli, Ilaria e Flavio.
Pur lontana dalla politica formalizzata, la sua sensibilità e il suo orientamento politico si manifestarono però, in modo chiaro, fin dalle elementari. In una scuola di religiose, ma con insegnanti laiche, di fronte a un rimprovero subito da una delle insegnanti, la piccola Ersilia, per istintivo senso di giustizia, ma anche per l’educazione ricevuta in famiglia, prese subito le difese dell’insegnante. Poi le scuole medie, il ginnasio e il liceo, un percorso scolastico durante il quale, rigorosa e “severa” qual era, non ci fu mai bisogno che i genitori andassero a colloquio con i professori.
Laureatasi a 22 anni in Filosofia, sposò quindi Franco Perrelli con il quale – lui aveva ora ventinove anni, ed era agronomo, nonché insegnante in un istituto per geometri – si trasferì a Crotone, dove insegnò lettere in una scuola media.
Nel 1964, rientrata a Castellammare insieme al marito e ottenuta, per concorso, l’abilitazione per l’insegnamento delle materie letterarie, prese ad insegnare in tre scuole diverse, peraltro distanti tra loro; un problema che le fece subito toccare con mano – essendo nel frattempo nati sia Ilaria,
1965, che Flavio, 1967 – le difficoltà affrontate dalla maggior parte delle madri lavoratrici.
I suoi studi di filosofia, nonché quella sensibilità per il sociale acquisita soprattutto negli anni trascorsi nel “bar della nonna” tra gli operai di Castellammare, la spinsero presto ad occuparsi prima di sindacato e poi di politica. “Fuori gioco”, per motivi anagrafici, rispetto al movimento studentesco del ’68, cominciò però, proprio in quegli anni, a partecipare attivamente al sindacato scuola, per poi passare ad interessarsi a problemi più generali del mondo del lavoro e delle fabbriche – dai pastifici ai cantieri navali – della sua cittadina.
Tenutasi inizialmente lontana dall’attività politica per l’impegno in quel sindacato che, in quegli anni, preferiva affidarsi a persone indipendenti dalla politica formalizzata, vi approdò però, aderendo al PCI, il 29 maggio 1974, all’indomani cioè della strage di matrice neofascista di Piazza della Loggia a Brescia; strage che la colpì particolarmente sia perché vi persero la vita ben cinque insegnanti (su otto vittime totali); sia perché, a sua avviso, quell’atto vile era stato perpetrato contro quei valori in cui credeva fin da ragazza, valori che andavano da quelli fondativi della Costituzione italiana (compresi quelli della Resistenza), a quelli, più in generale, per la difesa della persona umana.
L’impegno e la passione che espresse sui temi dei decreti delegati la portò all’attenzione della federazione napoletana del PCI, allora impegnata a rinnovare la classe dirigente comunista. Fu così che, su suggerimento di Angela Francese e del segretario provinciale Eugenio Donise, e nonostante fosse circondata da un ambiente molto maschilista (nel quale qualcuno pensava di farle un complimento affermando “va be’, la compagna Salvato è come un compagno”), tra lotte operaie e ragionamenti sul compromesso storico, fu candidata alla Camera dei Deputati nelle elezioni politiche del 1976. Partecipò così alla sua prima campagna elettorale, a seguito della quale fu eletta deputato, nella circoscrizione Napoli-Caserta, tra le file del PCI: un deputato donna con la pipa, si è detto; un “vizio” che fece inizialmente storcere il naso a non pochi colleghi deputati, paradossalmente soprattutto di sinistra, che percepivano quel gesto come una provocazione, e una mancanza di rispetto, per l’istituzione da lei rappresentata.
In occasione di quella prima elezione, la “certezza” che la sua carriera di parlamentare sarebbe stata effimera la spinse a non spostare la famiglia a Roma, decisione che comportò, ancora una volta, non poche difficoltà soprattutto nella gestione dei figli, allora di 11 e 9 anni. Da quel momento sarà invece parlamentare, ininterrottamente, fino al 2002: deputato del PCI fino al 1983 (per due mandati); poi senatrice, fino al 2002, prima del PCI, poi di Rifondazione comunista e infine dei Progressisti, ricoprendo, dal 16 maggio 1996 al 29 maggio 2001, anche la carica di vicepresidente del Senato.
Negli anni ottanta, in qualità di membro della Commissione parlamentare Antimafia, partecipò a manifestazioni contro la camorra insieme a esponenti del mondo cattolico, tra cui don Antonio Riboldi vescovo di Acerra. E come membro della Commissione Giustizia, effettuò viaggi negli Stati Uniti d’America per chiedere l’abolizione della pena di morte.
Con Armando Cossutta, Sergio Garavini e Lucio Libertini, il 3 febbraio 1991 fu tra i fondatori di Rifondazione Comunista, formazione politica sorta per iniziativa di quella minoranza del PCI che si opponeva alla cosiddetta “svolta della Bolognina” del segretario del PCI Achille Occhetto e alla nascita del Partito democratico della sinistra (Pds). In anni di svolte e di rotture profonde, militerà in Rifondazione fino al 1998, quando, l’11 ottobre, parteciperà alla fondazione del Partito dei Comunisti Italiani di Armando Cossutta e Oliviero Diliberto, per poi uscirne dopo appena dieci giorni – per un tradimento “maschilista” che ritenne di aver subito durante le nomine per il Governo D’Alema – per aderire ai Democratici di Sinistra.
È stata sindaca di Castellammare di Stabia dal 10 giugno 2002 al 28 aprile del 2004, poi presidente di “CittàLibera”, associazione che la indicherà come candidata a sindaca per le elezioni comunali del 3 e 4 aprile 2005, associazione che otterrà il 30% dei consensi. Per presunte interferenze della camorra nel corso delle operazioni elettorali, dopo quelle elezioni, con una lettera a Piero
Fassino, annunciò la sua uscita dai Democratici di Sinistra.
Infine, nell’ottobre del 2006 insieme ad altri fece nascere l’Associazione Rossoverde, che si proponeva la creazione di una sinistra che provasse a superare le lacerazioni degli ultimi 25 anni.
Nel suo libro intervista “Parole del mio tempo” (Palermo, Sellerio, 2001), la Salvato spiega come nel suo caso, e in quelli di molti politici della sua generazione, biografia e politica non possano essere scisse, e come la parola “privato”– a fronte della arendtiana “felicità pubblica” che la politica sa dare – sia sempre risultata, per lei, vuota di senso. Il partito finiva dunque per essere sinonimo di appartenenza, di comunità, di progetto; ma presto, già dal 1976, si avvertì che si andava incontro ad anni di crisi, quando cioè, nonostante la vittoria alle elezioni di quell’anno, si manifestarono le prime fratture nel rapporto fra il partito e la società, tra i movimenti e la spinta alla modernizzazione; fratture per le quali, a partire da tangentopoli e con la nascita del bipolarismo istituzionale, di quella vecchia comunità politica non resterà quasi più nulla.
Tutto ciò la porterà a perseguire anche percorsi in qualche modo “solitari”, nell’ambito dei quali, per la prima volta, finirà per incrociare i territori dei diritti e delle libertà (dall’abolizione della pena di morte e dell’ergastolo, e la difesa dei diritti dei detenuti, alle battaglie contro le “leggi liberticide” come quella sulla procreazione assistita), territori nei quali si farà più stretto il suo rapporto con la cultura del movimento delle donne, finora mai direttamente frequentata. Le sue istanze “femministe”, o quanto meno legate al recupero di una dignità femminile, arriva fino ai giorni nostri (2024), quando, con altre, chiede la modifica della toponomastica di Castellammare con l’inserimento di nomi di importanti figure femminili quali Nilde Iotti, Matilde Serao e Maria Regina Annunziata Longobardi, detta Onna Sciurella, figure che, nel corso del Novecento, sono riuscite ad incidere sia nella politica che nel sociale.
Ma il percorso solitario sarà per lei un vestito stretto. La strada maestra resterà quella della politica, e ora del riformismo europeo, nell’ambito del quale ricostruire un luogo unitario per tutta la politica della sinistra.