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Quando la politica rimane indietro, ci pensa la Corte Suprema

Scritto da Roberto Chiacchiaro Il . Inserito in I Generi

Corte-Suprema-II

Con cinque voti favorevoli e quattro contrari, la Corte Suprema degli Stati Uniti d'America ha sancito l'incostituzionalità delle leggi statali che vietavano il matrimonio gay, rendendolo di fatto legale in tutto il Paese. La Corte, mediante questa sua stocia sentenza, ha stabilito che in base al Quattordicesimo emendamento della Costituzione americana – quello sull’uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge – gli Stati debbano permettere a tutti i loro cittadini di sposarsi con chi vogliano e riconoscere i matrimoni gay celebrati fuori dai propri confini.

Il voto decisivo è stato quello di Anthony Kennedy, un conservatore nominato dai repubblicani, che però in questo caso si è unito ai quattro colleghi liberal. Richiamandosi anch'egli all' uguaglianza di tutti i cittadini dinanzi alla legge sancita dal Quattordicesimo emendamento, Kennedy ha dichiarato come non fosse più accettabile “condannare gli omosessuali a vivere in solitudine, negando loro l’accesso ad una delle istituzioni più antiche della nostra civiltà”.

La notizia è stata accolta con entusiasmo dal Presidente Obama in primis, che ha dichiarato come tale sentenza rappresenti una conquista epocale, di come persone comuni possano compiere azioni straordinarie, di cui l'America dovrebbe essere fiera, e di come tale conquista abbia reso l' Unione un po' più perfetta. Sui social, invece, è stato lanciato l'hashtag #loveislove, divenuto virale in poche ore, e su cui moltissime personalità della politica, dello spettacolo e dello sport (americane e non) hanno dato voce alla propria gioia.

Ma come si è giunti ad una tale sentenza? Per potervi dare una risposta il più completa possible è doveroso fare un passo indietro e parlarvi del “Defense of Marriage Act”, una legge approvata nel 1996 (dall' amministarazione Clinton) la quale definiva il matrimonio come esclusivamente quello tra un uomo ed una donna. Essa sospendeva inoltre, limitatamente al matrimonio gay, il tradizionale vincolo di reciprocità fra i vari Stati. Prima del giugno 2013, infatti, ad una coppia omosessuale che si fosse sposata in Massachusetts (dove il matrimonio gay è legale dal 2004) non potevano essere riconosciuti i molti benefit fiscali e pensionistici federali nel caso si fosse trasferita in uno Stato in cui il matrimonio gay fosse illegale. La Corte Suprema è intervenuta a favore del riconoscimento federale dei matrimoni gay nel 2013, ma fino ad oggi alcuni Stati potevano ancora rifiutarsi di celebrare le unioni tra persone dello stesso sesso ed anche di riconoscere quelle celebrate in un altro Stato e di conseguenza negare ai contraenti diritti e servizi. Così, a seguito della decisone presa il 6 novembre del 2014 dalla Corte d’Appello federale del sesto circuito, che ha giurisdizione in Kentucky, Michigan, Tennessee e Ohio, di confermare il diritto di vietare il matrimonio gay nei quattro Stati, alcune coppie residenti in questi stessi Stati hanno ricorso contro tale divieto, sottoponendo la questione all'attenzione della Corte Suprema che si è espressa come già sappiamo.

"Most Americans—understandably—will cheer or lament today’s decision because of their views on the issue of same-sex marriage. But all Americans, whatever their thinking on that issue, should worry about what the majority’s claim of power portends." Queste le parole scelte dalla Corte per concludere la propria sentenza. Parole potenti, che infiammano una volta di più la speranza di star costruendo, passo dopo passo, un mondo più giusto. Per tutti.