La vita del Caravaggio raccontata a teatro in “Per grazia ricevuta”
Se esiste un mondo in cui la pittura s’incontra con la rappresentazione scenica, questo non può che essere contenuto in un’unica immagine. Un frammento, che propende, allo stesso tempo, verso il dinamismo e la staticità. Per la quarta giornata di Vissidarte (organizzato a quattro mani dal drammaturgo Mirko Di Martino e dall’attrice Titti Nuzzolese) va in scena “Per grazia ricevuta”, spettacolo che analizza lo spirito di Michelangelo Merisi da Caravaggio, seguendo l’itinerario delle sue creazioni artistiche.
Protagonisti assoluti della scena sono: i colori e la compagnia “teatri 35”. Quest’ultima, in attività da oltre 15 anni, è composta dagli artisti Gaetano Coccia, Francesco O. De Santis ed Antonella Parrella. Il trio si occupa di sperimentazione teatrale, cercando di risolvere in modo armonico l’apparente conflitto tra realtà scenica ed arti visive. Lo spettacolo “Per grazia ricevuta” è, dunque, un fantastico esempio del loro modo di intendere l’arte.
Nello specifico, i tre artisti rappresentano, mimandole, alcune tra le tele più famose del Caravaggio. Com’è noto, le opere del Merisi sfuggono all’oblio del tempo grazie al loro eccezionale dinamismo; più che una fotografia, più che un’opera cinematografica, Caravaggio pennella figure tutte protese ad un obiettivo: un momento di estasi, un efferato omicidio, la ricerca di una grazia, l’incertezza della morte. Dati i presupposti, dunque, l’operazione di “teatri 35” appare ardua, non potendo i tre rappresentare staticamente il dipinto, ma neanche muoversi(essendo pur sempre disegni).
Come se non bastasse, la compagnia non può beneficiare del primato scenico, dovendoselo contendere con i colori. Nella sua incredibile vena creativa, Caravaggio percepisce e fonda un nuovo modo d’intendere l’arte. La bellezza del Merisi risiede nella sua bassezza; affidandosi ad una rigida prospettiva, mostra personaggi di vita quotidiana, cui alle volte si fanno indossare vesti bibliche. Al crescere della spiritualità dell'opera, necessariamente, cresce il gioco d'ombre. Luci diagonali che cambiano il modo d’intendere la tela. Personaggi vestiti di rosso vivo, o di bianco candido. Tutto attorniato dall’oscurità.Poi un uomo che urla, un angelo sereno. Allo stesso tempo, l’alternarsi di rosso, bianco e nero è a volte rotto da un incredibile soffio di verde acqua, riposante ed incoerente.
Questo gioco di colori, in cui il bene è spesso celato dallo scuro ed il male svelato dal chiaro, è ben riportato sulla scena con l’aiuto di quattro pezze a colori. Lo spettatore è invitato a vedere la compagnia mentre crea il quadro, arrotolando un lenzuolo rosso ed improvvisando un eccezionale mantello, girando un panno bianco ed inventando le vesti di un angelo. Gli artisti, dunque, cambiano veste in continuazione sulla scena; tuttavia ciò non è sofferto, né l’attesa per il nuovo mimo diventa straziante. Comodamente seduti sulla poltrona, si è chiamati ad assistere alla creazione artistica. All’utilizzo del reale (una pezza, uno straccio, un mantello) per addivenire al sacro (un angelo, un eroe mitico, un santo).
Assolutamente commuovente è la rappresentazione di Giuditta ed Oloferne, in cui il trio assume le vesti della protagonista biblica, della sua aiutante e del generale assiro. Utilizzando un fazzoletto rosso per rappresentare il sangue ed eseguendo una preparazione precisa, la compagnia riesce a fermare il tempo, riportando sulla scena il medesimo atto impresso nella mente di Caravaggio, in cui l’eroina recide con sdegno la giugulare del militare.Ecco, la scena di riempi di tensione: la precisione e la potenza dei muscoli delle braccia di Giuditta, la sua faccia inorridita, l’assoluta incredulità nel volto di Oloferne.
Forse, una scena può estinguersi, una volta portata a compimento. Ma se essa viene concepita come un divenire, uno spartiacque tra la realtà e la creazione, tra il capire ed il sentire, allora può essere eterno movimento. Teatro o pittura che sia.
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