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I tormenti di Amedeo Modigliani al Vissidarte festival

Scritto da Enrico Mezza Il . Inserito in Teatro

2015.09.03 - I tormenti di Amedeo Modigliani al Vissidarte festival

Chiudi gli occhi e sei a Livorno, 1884, a via Roma 38 sta nascendo Amedeo Clemente Modigliani. Li riapri, ma non distingui più i punti cardinali. La città che hai davanti sembra essere Livorno. Pochi, tuttavia, si ricordano di Amedeo. Inoltre, la città non sembra più quel porto silenzioso. Decidi chiudere gli occhi, nuovamente. Sei in un museo, fissi una donna dal collo elegante, il viso inclinato e le braccia incrociate.

Sei a Parigi, in uno scantinato umido, triste. Un materasso gettato in terra, una lampada ad olio che emana una luce fioca. Non c’è nessuno. Si sente una voce dall’esterno: “Amedeo Modigliani, italiano ebreo, 5 franchi un ritratto!”. Riapri gli occhi, continui ad essere in un museo, che eccezionalmente si concede all’arte del teatro. Si va in scena.

Il Palazzo delle Arti d Napoli (PAN) apre le sue porte per accogliere la terza giornata di Vissidarte, rassegna teatrale che si propone di raccontare le vite di cinque artisti che hanno cambiato il mondo della pittura. Festival particolare, dalla piattaforma suggestiva: un pittore, raccontato da un attore, che va in scena in un museo.

Stavolta, il direttore artistico Mirko di Martino, drammaturgo, regista e direttore del Teatro dell’Orso, di concerto con l’organizzatrice Titti Nuzzolese, attrice, mette al centro del palcoscenico-museo la vita di Modì, anche detto Dedo, al secolo Amedeo Clemente Modigliani. Protagonista della rappresentazione è il livornese Michele Crestacci, che inscena un monologo scritto a quattro mani con Alessandro Brucioni.

A bene vedere, l’opera coglie a pieno tutti i caratteri del pittore: vitale, falsamente distratto, sognatore. Il tutto si basa su di un esercizio immaginifico, un treno che nei primi anni del ‘900 percorre imperterrito la strada che va dalla città toscana a Parigi, capitale mondiale dell’arte.

Ci viene spiegato che la vita di Modì non nasce sotto una buona stella. Il piccolo Amedeo è malato e la sua famiglia sul lastrico. Il giovane, inoltre, è sì determinato, ma dalle idee incerte. Vuole scappare da Livorno, fare la vita dell’artista, da un lato. Dall’altro lato è ben felice di ripararsi, a volte, nel focolare domestico. E’ così che dopo una giovinezza tra Livorno, luogo statico, Firenze, dal passato glorioso e il presente titubante, e la più appassionata Venezia, il giovane decide che il suo futuro non può che essere a Parigi.

Dedo non vive una vita tranquilla, né felice. Con l’idea di diventare artista (sempre scultore), pare più appassionato alla vita dei caffè Parigini, dell’oppio e del vino. Tutto, però, non con il provento delle sue opere, ma in virtù dell’assegno che la madre, la consapevole e speranzosa Eugenia, gli inviava mensilmente.

Il monologo mette a nudo la doppia anima di Dedo: pronto alla vita, ma allo stesso tempo distratto dal suo giovanile entusiasmo. Lo spettacolo fa intuire come ogni esperienza artistica sia figlia dell’epoca in cui nasce, si nutra delle amenità che la circondano. Ciò, però, urta irrimediabilmente con il sentire dell’artista, proteso non solo a vivere il presente, ma a speculare sul futuro, un futuro che i grandi uomini anticipano e, soffrendo, aspettano.

Così, i quadri di Modigliani ci offrono pupille bianche, vuote, nulle. Ci offrono l’idea di un uomo che non sa gestire i propri sentimenti. Ben vengano, dunque, i calici di vino, le feste, i materassi bucati e le bettole di quartiere. L’umanità degli occhi di Modì sta nell’impossibilità di guardare la realtà per ciò che è. Nel sogno che non muore, che viene inseguito costantemente. Forse, un paio di occhi sarebbero utili per vedere la realtà. Ma devierebbero il pennello dai tratti genuini e squisitamente interiori che gli sono propri.

Anche l’attore, se riapre gli occhi, vede una Livorno diversa. Forse ingiusta ed irriconoscente. Meglio scherzarci, così da mettere a fuoco la nostra storia, utilizzando la parte più vera delle nostre pupille.

 

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