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Disastri sismici e prevenzione: perché in Italia pensiamo sempre al dopo?

Scritto da Fabio Lauri Il . Inserito in Vac 'e Press

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Sono le 3:36 di una notte afosa di agosto. C’è chi già pensa al ritorno al lavoro, chi si gode gli ultimi giorni di relax ma anche chi è ancora sveglio e osserva silenziosamente l’oscillare del lampadario di casa. Una folata di vento? Un autobus che fa vibrare l’argenteria di casa?

Si va a dormire a cuor leggero. Invece no. Invece la terra trema, trema come nel 2009. Trema a qualche km di distanza, vicino Rieti. Trema con una forza pari a 6,2 punti della scala Richter. Trema per altre 300 volte. Amatrice è distrutta, i morti sono più di 250. Crollano palazzi, edifici storici, crolla una scuola, costruita pochi anni fa: era una struttura antisismica.

Semmai dovesse succedere una cosa del genere nel nostro territorio, saremmo pronti a evitare un disastro? Il pensiero è legittimo, doveroso. In Campania, su circa 360 comuni l’allerta “sismica”raggiunge il grado “2”, ossia, per intenderci, un rischio medio – elevato; altri 129, raggiungono un’allerta pari a “3”. Sappiamo di vivere in una zona ad alto rischio sismico, con fenomeni naturali del tutto strabilianti, vedi il bradisismo nella vicina Pozzuoli, o la presenza di attività vulcaniche perenni come la Solfatara. Come agire?

Andiamo per ordine. Di recente, in Germania, è stato pubblicato un volantino su come comportarsi in caso di cataclismi naturali o altri tipi di eventi straordinari. È un volantino scritto in modo chiaro, semplice e conciso. In Italia, di questi protocolli, ne esistono 7.954. Un’infinità di piani di emergenza comunali pubblicati dalla Protezione Civile. La maggior parte di questi piani sono però documenti ricchi di nozioni tecniche e di sterili procedure da attivare per ogni singola emergenza. Mancano della praticità e dell’immediatezza. Quanti di noi conoscono il proprio piano di evacuazione? Quanti di noi sanno come comportarsi in caso di calamità naturale?

La macchina dei soccorsi si è attivata in modo estremamente veloce, così da evitare la morte di altri innocenti. Quello che si avverte è una sorta di accettazione del rischio, di una consapevolezza del disastro, la totale sfiducia nei confronti di chi ha speculato sull’edilizia, costruendo palazzi fatiscenti e non a norma. Sfiducia che aumenta quando, dati alla mano, ci si rende conto che si punta più al risparmio che alla sicurezza degli stabili: ragionamento del tutto errato e fuorviante. Si stima infatti che, se in Italia fosse applicato un sistema di prevenzione ad hoc, il denaro speso sarebbe pari a 41 miliardi di euro (fonte “Istituto ingegneria sismica italiana”). A differenza di quanto si crede, quindi, la prevenzione costa di meno, non solo dal punto di vista economico, ma soprattutto dal punto di vista di vite umane. Solo per la ricostruzione delle infrastrutture distrutte dal terremoto dell’Irpinia, siano stati stanziati circa 41 Miliardi di euro, i quali raggiungono circa 121 miliardi se sommati a tutti gli altri cataclismi avvenuti nel nostro paese (fonte “Istituto ingegneria sismica italiana”). Circa 3 volte il costo di un sistema preventivo adeguato.

Il problema non risiede nei palazzi del 1500, nelle chiese o negli edifici storici: il problema è l’urbanistica della seconda metà del 1900; strutture edificate senza alcun criterio di responsabilità e logico. Una prevenzione nazionale è davvero utopia, ma i rischi possono essere ridotti, tramite l’analisi del territorio, lo studio delle faglie e la creazione di strutture antisismiche a norma, in particolare nel Centro- Sud Italia: la zona con il più alto rischio sismico di tutta l’Europa. La situazione a Napoli non sembra una delle migliori, in particolare circa la sicurezza degli edifici e dei luoghi pubblici. Una forte campagna di sensibilizzazione e di consapevolezza sul pericolo possono essere un elemento di grande aiuto per la gestione e la risoluzione di eventi del genere. La strada è lunga, e bisogna agire in modo fermo e deciso, il prima possibile.

I paragoni lasciano sempre il tempo che trovano, ma questo può sembrare davvero esplicativo e funzionale. Il 14 aprile di quest’anno un terremoto di magnitudo 6.2 ha colpito la città di Kumamoto, Giappone, 740.000 abitanti che salgono a 1.800.000 nella prefettura circostante, causando 9 morti e il collasso di alcune decine di edifici. L’isola di Kyushu è quella meno colpita dai terremoti, ed è quindi quella edificata con i parametri di antisismicità meno stringenti. Ci sono molti edifici storici non a norma, eppure i danni sono stati limitati.

Quattro mesi più tardi siamo in Italia. Stesso terremoto, stessa energia rilasciata, magnitudo 6.2. La zona colpita è scarsamente popolata, al contrario del terremoto aquilano del 2009, e il comuni più grande è Amatrice, 4000 anime. Nella zona più duramente colpita quanti sono gli abitanti totali, 10.000?. 20.000? La domanda sorge spontanea: e se fosse successo qui a Napoli? La speranza è quella di non dover aspettare più l’ennesimo lutto nazionale per far si che la situazione cambi.