Pompei: senza Sindaco, ma con i soldi del Governo
Paese che vai, dimissioni che trovi. Pompei, Bacoli, Portici: tre sindaci saltano per le dimissioni in blocco dei consiglieri comunali. Parte della maggioranza consiliare, di accordo con le forze di opposizione, dirige l’auto-sabotaggio: stesso metodo, per interessi diversi.
Maggioranze troppo eterogenee, costruite solo a ridosso della tornata elettorale, come nel caso del sindaco Marrone, a Portici: la coalizione “Sel-Verdi-Idv-Udc” è implosa a colpi di dimissioni e cambi di casacca lo scorso luglio. Maggioranze forti, potenti nella narrazione del rinnovamento, come nel caso di Josi Della Ragione, a Bacoli: l’azione amministrativa è qui durata tredici mesi, salvo poi perire con la deflagrazione del gruppo consiliare di FreeBacoli. Maggioranze incerte e fragili sin dall’inizio, senza speranza alcuna di sopravvivenza, come nel caso di Pompei e dell’oramai ex sindaco Ferdinando Uliano: ultime in ordine di tempo, le dimissioni di dieci consiglieri (due della maggioranza) che hanno interrotto l’esperienza amministrativa in corso.
Qui, però, la partita vede in gioco ben altri numeri e interessi. Il Primo cittadino uscente, eletto con una coalizione di nove Liste Civiche di area riformista, torna a casa dopo appena due anni di governo. C’è da dire che l’ex Sindaco non ha mai goduto del pieno sostegno del Partito Democratico locale, diviso tra l’appoggio alla Giunta in carica e quello al leader dell’opposizione, quel Franco Gallo, renziano della seconda ora, sconfitto al ballottaggio proprio da Uliano. La spaccatura riflette le contrastanti vedute sui progetti d’intervento, da parte del Governo nazionale, sull’intera area Pompeiana, in particolare il disegno da 35 milioni di euro riguardante la costruzione della stazione ferroviaria dell’Alta Velocità nella zona adiacente gli Scavi. Il cosiddetto Hub permetterebbe ai turisti di bypassare il territorio cittadino e, mediante una passeggiata sopraelevata, arrivare direttamente nell’area archeologica. “Fino a quando ci sarò io l’hub se lo scordano, utilizzeremo quei soldi per i veri bisogni della città”, tuonava Uliano prima della defenestrazione di fine agosto, nonostante gli investimenti sul territorio comunale non si fermeranno a ciò. Il Governo, seguendo l’asse con il ministro Franceschini, ha previsto anche un intervento in materia di rivalutazione dei beni archeologici tramite i fondi del bando “Cultura Crea”: una buona parte dei 27 milioni stanziati per il Mezzogiorno, infatti, saranno destinati a Pompei. A nulla, tuttavia, era servito l’incontro con Renzi a Palazzo Chigi per far cambiare idea all’ex Sindaco.
Troppi interessi per porsi da intralcio all’azione governativa: ecco il prezzo pagato da Ferdinando Uliano. Non è la sua posizione, in fondo, a doversi considerare centrale nell’intera vicenda. La sua, in verità, resta una figura marginale: è il “brand-Pompei” il vero protagonista, e quest’ultimo non può essere ostaggio di un’amministrazione comunale in contrasto con la visione politica renziana. Il Presidente del Consiglio l’ha eretto a vessillo della narrazione di Governo, la fenice che, come l’intero Paese, si rialza dopo i crolli. Un simbolo già forte di suo, che costringe i leader locali a non avventurarsi in una progettazione politica antitetica, limitandosi piuttosto all’esercizio passivo di una mera funzione burocratica. La visione è e sarà una ed una soltanto, ed è quella che segue le linee direttive del Governo.
Il treno da 35 milioni, quindi, schiaccia ogni resistenza ed intermediazione della comunità locale, travolge coalizioni cittadine improvvisate e incapaci di governare la complessità delle sfide poste dal proprio territorio. Suo malgrado, Pompei si ritrova senza Sindaco, ma con il Governo. Ed i suoi investimenti.