Il rischio sismico e vulcanico in Italia e nell’area napoletana
La notte dello scorso 24 agosto, alle ore 03:36, una scossa di magnitudo 6.0 ha colpito la Valle del Tronto, nel cuore geografico d’Italia, travolgendo le cittadine di Accumuli, Amatrice (entrambe in provincia di Rieti) e di Arquata del Tronto (vicino Ascoli Piceno), radendole, di fatto, al suolo, e provocando 296 vittime. La scossa, seppur localizzata a cavallo fra Lazio e Marche, è stata avvertita da Bologna a Napoli, come a ricordare che tutto il Paese è, tragicamente, legato da un unico destino: quello del rischio sismico.
A riprova di ciò, con l’ausilio della memoria e della Storia, si può ricordare una lunga quanto luttuosa lista di terremoti: nel 1901, una scossa di intensità 5.6 della scala Richter colpì Salò ed il Lago di Garda; quattro anni dopo, nel 1905, fu il turno della zona di Nicastro, in Calabria, colpita poi da uno tsunami; il 1908 fu segnato da un’ecatombe: 120.000 morti, causati da un’interminabile scossa che, in 37 secondi, spazzò via Messina e Reggio Calabria. Nel 1915, comincia il tormento dell’Appennino centrale: Avezzano e dintorni vengono distrutte, si conteranno 33.000 morti. Il 1927 ricorda come rischio sismico e rischio vulcanico siano strettamente legati: il vulcano dei Colli Albani, in provincia di Roma, squarcia la terra. Tre anni dopo, tocca all’Irpinia: 1.404 morti. La lista prosegue, fino alla Sicilia, nel 1968, con il terremoto della Valle del Belice, a cavallo fra Trapani e Agrigento, e le sue 370 vittime. Nel 1976, l’allora poverissimo Friuli viene duramente provato da ben 989 morti: con una ricostruzione modello, diventerà una delle regioni più ricche del Paese. A distanza di cinquant’anni da quel tragico 1930, nel novembre del 1980 ancora l’Irpinia è colpita dalla scossa più lunga mai registrata in Italia: 90 secondi di terrore, che si portano con sé 2.914 vite. In quegli anni, prende forma la Protezione Civile così come oggi la conosciamo, che, più delle scosse e del terrore, unisce oggi il Paese in uno sforzo comune per fronteggiare queste tragedie, così come è avvenuto nel 1997 per il sisma dell’Umbria, nel 2002 in Molise, nel 2009 a L’Aquila, e nel 2012 in Emilia Romagna.
La lunga lista di tragedie appena stilata serve a ricordare come la maggior parte dell’Italia sia soggetta ad un rischio sismico per la sua particolare posizione geografica, che la vede ubicata nella zona di convergenza tra la zolla africana e quella eurasiatica. Come si può facilmente evincere da quanto sopra scritto, la sismicità più elevata si concentra nella parte centro-meridionale della Penisola, lungo la dorsale appenninica (Val di Magra, Mugello, Val Tiberina, Val Nerina, Aquilano, Fucino, Valle del Liri, Beneventano, Irpinia), in Calabria e Sicilia e in alcune aree settentrionali, come il Friuli, parte del Veneto e la Liguria occidentale. Nei fatti, solo la Sardegna non risente particolarmente di eventi sismici.
Un evento sismico si può ingenerare anche a causa di un’eruzione. Tuttavia, il rischio vulcanico in Italia è concentrato in un'area sensibilmente più ristretta rispetto a quella sottoposta al rischio sismico. Sono infatti considerati attivi, allo stato delle conoscenze, solamente l’area costiera della Campania (con i complessi vulcanici dei Campi Flegrei, di Ischia, del monte Somma e del Vesuvio) e le aree siciliane dell’Etna e delle isole Eolie.
In una scala di pericolosità del rischio sismico dove 1 corrisponde a “rischio massimo” e 4 a “rischio nullo”, la Campania è compresa fra 1 e 3. In particolare, l’Irpinia e parte del Sannio sono a rischio 1, mentre le province di Napoli, Caserta e Salerno sono classificate a rischio 2. Solo parte del Cilento è zona a rischio 3. Se si considera che la provincia di Napoli conta 3.129.354 abitanti su 1.171 km2, per una densità di 2.672 abitanti per km2 in 92 comuni, è facile intuire come la coesistenza di un così elevato rischio sismico, assieme al rischio vulcanico, ne facciano una delle aree probabilmente più pericolose del pianeta, almeno a livello potenziale. La Campania è attrezzata per far fronte a queste tragiche eventualità?
La risposta più immediata è che il “rischio zero”, in qualunque caso, non esiste. Tuttavia, a Napoli e provincia si è ben lontani dal “rischio zero”. In particolare, lo scempio edilizio post Seconda Guerra Mondiale ha consegnato comuni stravolti nella loro originale fisionomia, con centinaia di migliaia di vani non costruiti secondo alcun criterio urbanistico, tantomeno sismico. Se a questi si sommano gli edifici storici, costruiti prima dell’invenzione del cemento armato, si raggiunge praticamente la totalità delle strutture. Per tale ragione, è fondamentale l’adeguamento, o perlomeno il miglioramento, sismico.
Per adeguamento si intendono quegli interventi sugli edifici atti a conseguire i livelli di sicurezza previsti dalle normative vigenti. Una volta adeguata una struttura, essa è, almeno teoricamente, antisismica. Per miglioramento invece si intendono quegli interventi finalizzati ad aumentare la sicurezza strutturale esistente, pur senza raggiungere i livelli richiesti dalle normative vigenti. Per aiutare i cittadini nella selva di normative e definizioni tecniche, la Regione Campania ha attivato un portale internet, denominato “Sismica”, dedicato a tutti i committenti (persone fisiche o persone giuridiche) che abbiano necessità di trasmettere ai settori provinciali del Genio Civile una denuncia dei lavori strutturali. Il portale offre tutte le informazioni, le ultime notizie, la modulistica ufficiale per l’inoltro delle denunce dei lavori per il rilascio dei provvedimenti sismici, assieme agli indirizzi e recapiti degli Uffici competenti, oltre a tutta la normativa nazionale e regionale che disciplina la materia. Inoltre, la Regione, per bocca del Presidente Vincenzo De Luca, presto attiverà il “fascicolo del fabbricato”, vale a dire un vero e proprio dossier che, per ogni palazzo, ne ricostruirà la storia, l’architettura, i materiali impiegati. Finalmente, si avrà una mappatura completa e puntuale degli edifici presenti sul suolo regionale: un provvedimento da tempo atteso dalle associazioni di categoria, in particolare dall’Ordine dei Geologi, che nei giorni scorsi, all’indomani del sisma reatino, ha denunciato come in Campania ben 4.608 scuole, 259 ospedali e 865.778 fabbricati, pubblici e privati, si trovino in zone a elevato rischio sismico.
Su adeguamento e miglioramento, nonché mappatura degli edifici, si muove il neonato piano del Governo, “Casa Italia”. Non un intervento tampone, né l’ennesimo finanziamento a pioggia, che poi si dissipa in mille rivoli, bensì una visione decennale che mira a ridurre drasticamente il rischio che una scossa di terremoto può provocare. Grazie alla collaborazione del Politecnico di Milano, e dell’architetto genovese Renzo Piano, si sono già cominciate le consultazioni con enti locali ed associazioni per immaginare quella che dovrà essere la priorità politica dei prossimi anni, indipendentemente da chi sarà al governo.
I piani di evacuazione, laddove previsti, possono mitigare il rischio vulcanico. I piani di soccorso possono lenire le ferite anche di quello sismico. Tuttavia, se è vero che il “rischio zero” non esiste, è ora di diminuire le possibilità che altri eventi luttuosi avvengano. Ormai, è un concetto chiaro nelle menti di molti politici. Che sia il piano governativo “Casa Italia”, assieme ad interventi regionali come “Sismica” l’inizio di un nuovo percorso?
Per maggiori informazioni:
- Sismica – Il portale della Regione Campania in materia di difesa del territorio dal rischio sismico
- Regione Campania, pagina Internet su classificazione Comune per Comune del rischio sismico
- Protezione Civile - Cartina della classificazione sismica dell’Italia al 2014
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