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1000 battute sulla Sanità in Campania

Scritto da Antonella Ciaramella Il . Inserito in Il Palazzo

cardarelli barelle 1

Il pronto soccorso del San Giovanni Bosco, accoglie ancora pazienti con una distesa di barelle nell’area di emergenza medica. Ma qualcosa non funziona ancora nel piano di riorganizzazione della sanità campana, quando sono gli organi di informazione a diffondere l’immagine del paziente col torso nudo, i jeans ripiegati per posizionare gli elettrodi sulla scrivania, probabilmente in una di quelle notti di pienone che sanitari e degenti hanno trascorso nell’unico ospedale dell’Asl Napoli 1 dove, a causa della mancanza di posti letto, vengono effettuati anche ricoveri all’interno del pronto soccorso.

Non è l’abnegazione di medici e di infermieri, che cercano di garantire in tutte le condizioni possibili il massimo delle prestazioni sanitarie in carenza anche di luoghi fisici preposti, il parametro con cui si può misurare la distanza da una sanità sufficiente.

Poco distante, altri echi, al Cardarelli, azienda di rilievo nazionale e, l’ospedale con più alto numero di posti letto e di eccellenze in campo medico e chirurgico, rimbombano le cronache per le aggressioni tra le mura del pronto soccorso subite dai sanitari che vengono minacciati a causa delle lunghe attese o delle condizioni di emergenza da campo degli assistiti. E al Cardarelli le prestazioni in regime di ambulatorio hanno tempi di attesa, su cui è urgente riflettere, con una media che va da 40 fino a 288 giorni per patologie anche gravi. In provincia di Napoli, a Sorrento: si fermano gli interventi chirurgici e la chirurgia ortopedica per mancanza di personale. A Frattamaggiare il suo nosocomio attende da anni l’efficientamento strutturale del suo pronto soccorso, un presidio strategico in un raggio di 6 comuni tra i più popolosi a nord di Napoli; ci si interroga con sgomento sul perché ancora questa situazione deprivata non sia invece affrontata quale priorità all’avvicendarsi di ogni nuovo commissario, ne sono già passati tanti. Territorialità ed eccellenze dovrebbero essere il mantra di ogni nuovo Commissario e Direttore di Azienda sanitaria locale in pectore, i professionisti da poco nominati hanno da mettere a disposizione tutte le autorevoli competenze e un po’ di sano coraggio. Ma ancora ad essere mortificati sembrano essere presidi che hanno fatto di questa città una metropoli all’altezza della sua complessità e della sua endemica fragilità. L’allarme viene dall’Unità operativa assistenziale sulle tossicodipendenze dell’Asl Napoli 1, gestita in tutti i suoi presidi territoriali da esperti in prima linea che però rischiano di essere accorpati, assorbiti, de-territorializzati e dunque snaturati. Si guarda alla variabile discostante ma non alla costante statistica, in una regione che ha bisogno ora di risposte in termini di servizi alle fasce più deboli e ai minori. Qui dove la breve ripresa economica in ambito nazionale e in modo comparato al Sud, non è avvenuta e non ha consentito ancora di recuperare il valore iniziale. I dati relativi alla Campania mostrano, dopo un primo avvio positivo, un momento di difficoltà, già nel triennio 2002/2005, è seguito da una ripresa che si arresta bruscamente nel 2007, quando la crisi innesca una caduta che nel 2011 non consente ancora di rilevare i segni della ripresa, ma solo la riduzione del trend negativo. Il risultato complessivo è una crescita, di ben € 860,86 tra il 2000 e il 2011, e quindi aumento del divario, in termini di valore aggiunto pro capite, della Campania rispetto all’Italia nel suo complesso, che accresce ulteriormente la distanza rispetto ai € 9.279,57 iniziali (ISTAT 2014/15).

Il Presidente della Regione Campania Vincenzo De Luca ha scommesso sulla riorganizzazione della sanità in Campania molto della sua credibilità politica. Nel Piano Sanitario Regionale è affrontato il “flagello dei tetti di spesa” come lo definisce egli stesso, che pone però al centro il grande nodo delle convenzioni e delle strutture di assistenza sanitaria e dunque il sistema dei servizi integrati e dell’occupazione delle professioni sanitarie. Aspettando l’Ospedale del Mare tuttavia e la sua implicita ricaduta occupazionale non possiamo smettere di curarci, e dovremo trovarci con tavoli e concertazioni pronti a dare migliaia di risposte a lavoratori formati e specializzati “crioconservati” nelle agenzie interinali. Questa regione con la popolazione attiva più giovane del Paese deve poter fare leva sulla sua più grande potenzialità: forza lavoro specializzata e disponibile. Pertanto il fulcro è rimettere sul tavolo il tema dell’organizzazione di ogni minimo comparto, per riportare al centro l’obiettivo essenziale, ossia l’uscita dal commissariamento e la garanzia indiscussa dei LEA. Riaffidare alle competenze giuste tali fondamentali compiti significa ricucire quel rapporto di credibilità con i cittadini e gli elettori. Probabilmente serviranno maggiori e costanti momenti di incontro tra attori e la politica che qualche volta in più dovrà essere supporto e non indirizzo, pena una regressione dolorosa in una dimensione di sottosviluppo anacronistico che ci lascia al palo.

In chiusura uno dei temi che, per eccellenze, ci pone al pari di esperienze del Nord di Italia e di molti paesi europei come le strategie di cura e di assistenza per l’Autismo, materia su cui anche l’attività del consiglio regionale si è impegnata nel collegato alla legge Finanziaria del 2016 e si sta accreditando per riorganizzare servizi e modalità di erogazione di tutti gli interventi di cura e di sostegno riguardo alle patologie dello spettro autistico. Ma ancora a Napoli un problema di organizzazione porta indietro le lancette: da anni, i genitori di bambini speciali, combattono nei quartieri Vomero e Arenella una battaglia di revisione culturale sulla disabilità intellettiva, sostenuti dall'Asl Napoli 1 Centro e in particolare dalla Neuropsichiatria Infantile, attraverso il proprio personale sanitario impegnato per migliorare la qualità della vita dei loro figli e delle famiglie. Il passo avanti è stato l’inaugurazione del "Social Club" un appartamento messo a disposizione dall'azienda sanitaria affinché circa 100 ragazzi autistici della zona vi trovassero un punto di partenza per intraprendere, con l’assistenza di operatori specializzati, percorsi di autonomia. Una vera rivoluzione, di cui l’Istituzione si è fatta pioniera: la disabilità ha cessato, finalmente, di essere unicamente “riabilitata” per venire abilitata a una diversa normalità. Poi è successo l’imprevedibile: da un giorno all’altro, il simbolo e l’obiettivo insieme di tutti gli sforzi congiunti è stato soppresso perché, in forza di un provvedimento del direttore del distretto sanitario 27, in quegli stessi locali dovranno essere trasferiti gli ambulatori della neuropsichiatria infantile. Una decisione così penalizzante per bambini e ragazzi disabili e per le loro famiglie andrebbe argomentata, gestita e motivata non solo con il rigore della riorganizzazione. Oggi quella stessa Azienda sembra, non solo, voler segnare una frattura con le proprie politiche ma, attraverso una decisione a dire poco incomprensibile, segnare un disconoscimento dei progressi che essa stessa ha conseguito, ricordando Franco Basaglia che per primo aveva icasticamente segnalato: “l'irrecuperabilità del malato è spesso implicita nella natura del luogo che lo ospita”».

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