Pomigliano Jazz Festival 2016: tra tadizione e modernità
Il Pomigliano Jazz Festival non è solo un’esperienza musicale itinerante ma una scommessa culturale insolita perché mette in gioco una terra dismessa, trascurata e luoghi talvolta dimenticati. Costruisce percorsi percettivi di cui la musica oltre ad essere protagonista d’eccezione, diviene anche ancella di visioni e stimoli spaziali nuovi, insoliti.
Che sia ai piedi del poco conosciuto Anfiteatro Romano di Avella, sullo sfondo storico del Palazzo Mediceo di Ottaviano, o nella vastità brutale e bonaria insieme dello scenario offerto ai suoi spettatori dal cono del Vesuvio; l’evento mette in scena vere e proprie orchestre jazz alla cui bravura è affidato l’arduo compito di richiamare col suono, la storia e il patrimonio del Mezzogiorno da un lato e spinte culturali straniere dall’altro.
Dopo l’esito positivo della prima edizione, nel 1996, il festival è stato ricreato anno per anno rispettando fin dall’inizio le tappe del suo itineris: ancora oggi, a distanza di vent’anni, le differenti location prescelte ospitano musicisti nostrani oltre a celebrità provenienti da tutto il mondo. Uno dei motivi della grande longevità dell’evento sta anche nella sua capacità di creare interessanti possibilità di aggregazione: al pubblico di nicchia, che è comunque lecito aspettarsi in concerti di questo tipo, si affianca una platea singolare, non necessariamente legata al jazz da un rapporto di completa fedeltà emotiva. È quindi un’occasione unica per la musica, quella di mettersi alla prova anche con uditi non raffinati e abituati alla plasticità del jazz, ma vergini e privi di ogni preconcetto sonoro. Agli estimatori del genere tocca forse giudicare i nuovi linguaggi, le sperimentazioni e le innovazioni che da sempre trovano spazio nella sua lunga rassegna sonora.
Nel 2015 l’annuncio che Goran Bregovic sarebbe intervenuto come ospite d’onore, innalzò vertiginosamente l’interesse della stampa e dei media locali, oltre che del pubblico. Quest’anno la torcia olimpica è toccata a chi ha fatto della propria esperienza artistica e personale, una ricerca continua di stili e forme di espressività differenti, chi ha reinterpretato la tradizione napoletana classica con sonorità che vanno dalla world music, al funky, o la jazz fusion: Enzo Avitabile.
Il suo primo omaggio al Mezzogiorno è stato celebrato il 14 Settembre in occasione del Vesuvio Ascension, suggestivo concerto al tramonto sul cratere del vulcano. Questa tappa del Pomigliano Jazz Festival costituisce in realtà l’unica aggiunta successiva al tradizionale programma ventennale, perché introdotto solo nel 2014. Lo sfondo primigenio offerto dal cono del Vesuvio ha permesso di cogliere tutta l’energia fisica trasmessa dalle onde sonore e di unire a questa incredibili spunti evocativi. Giunti a 1200 metri d’altezza i fortunati spettatori sono stati immersi in un totale isolamento naturale: il silenzio e l’assenza di ostacoli materiali hanno concesso di sfruttare più vantaggiosamente lo spazio circostante, per qualche ora invaso dalle armonie di strumenti talvolta inediti e sperimentali come quello imbracciato da Ashraf Sharif Khan. In una location tanto fortunata Avitabile, Rino Zurzolo e Gianluigi Di Fenza hanno elevato il loro inno al gigante dalla volontà oscura, non un urlo straziato della piccolezza di fronte alla vastità ma un’ascensione di suoni e menti.
Domenica 18 Settembre il musicista napoletano ha salutato Pomigliano e il suo pubblico al Parco delle Acque, assistito stavolta da ONJ Orchestra Napoletana di Jazz diretta da Mario Raja; ben lontano dalle intenzioni ideali del precedente evento, egli ha fissato in chiave più terrena il filo rosso che unisce suono, parola, gesto e danza. Reinterpretando in dialetto pezzi di James Brown, Sergio Bruni e Pino Daniele, i celebri miti che avevano avuto tanto peso nella sua formazione, ha riaffermato con ancor maggior potenza l’estrema versatilità della musica.