Contro i populismi al riformismo serve un'anima
Da qualche mese sulla stampa italiana si discute, sia pure in sordina, sulla crisi della democrazia. Se ne discute, e questa è l’inquietante novità, mettendo in dubbio la capacità dei cittadini di esprimere un voto meditato, razionale, consapevole.
Dibattito che ha coinvolto anche intellettuali di sinistra come, ad esempio, Michele Serra. La democrazia, dunque, non sarebbe minacciata solo dall’esterno, da poteri forti, potenze straniere, gruppi organizzati in difesa di interessi particolari, ma dalla sua stessa essenza, il voto dei cittadini, del popolo, del demos.
Il voto degli inglesi in favore dell’uscita di quel grande paese dall’Unione europea, sembrerebbe dare ragione a chi, pur essendo di sinistra, comincia ad avere dubbi sulla capacità della maggioranza degli elettori di saper scegliere, discernere fra interessi meschini e prospettive ideali.
Negli USA, molti sondaggi indicano che una grande maggioranza di elettori non voterà a favore di Trump o della Clinton, ma contro uno dei due. E segnala che un’ampia fetta di americani si sente disgustata dalla campagna elettorale e dai candidati in campo.
In Svizzera, nel Canton Ticino il 58% dei cittadini vota contro la permanenza di lavoratori stranieri, italiani in particolare, i cosiddetti frontalieri, secondo il principio che va tutelato innanzitutto il lavoro dei cittadini svizzeri. Lo slogan dei fautori del referendum antifrontalieri era: “prima i nostri”. E poco importa se un tale voto potrebbe mettere in grave crisi i rapporti della Svizzera con l’intera Europa con grave danno per tutti, ticinesi compresi.
Sono segnali inquietanti che, per taluni aspetti, stiamo tutti prendendo sottogamba. Le definizioni, gli slogan populismo antipolitica non sembra siano in grado di spiegare la complessità della situazione. Certo, questi fenomeni presentano caratteristiche comuni, un ribellismo contro le istituzioni centrali, la paura dell’estraneo, del diverso, di ciò che non si conosce. L’elementarizzazione di concetti e idee che si sostituiscono a riflessioni complesse, soluzioni intelligenti.
A Napoli il sindaco De Magistris a capo di una delegazione di 500 cittadini manifesta a Roma contro il governo nazionale affermando che “se i soldi non ce li vogliono dare ce li veniamo a prendere”. Forse perché ci siamo ormai tutti, napoletani e non, abituati al linguaggio dell’ex magistrato, non si promuove un’iniziativa forte nei confronti di un atto eversivo, non rivoluzionario, fondato su un’idea di democrazia quantomeno semplificata. La tendenza è, evidentemente, a non prendere sul serio tali atteggiamenti. E invece sono pericolosi perché, se così possiamo esprimerci, congiurano a creare un clima culturale e politico illiberale e antidemocratico.
Un discorso analogo si potrebbe fare per ciò che è accaduto a Palermo dove alcuni militanti 5Stelle hanno aggredito i giornalisti rei di essere dei venduti al servizio dei poteri forti, mentre il sindaco di Roma, Virginia Raggi, urlava che Roma è autonoma, che nessuno può comandare a casa sua, che la scelta di non ospitare le Olimpiadi (scelta che impegna l’intero paese) serve a tutelare gli interessi della città. Anche in questo caso sembra prevalere una sorta di indifferenza: pochi facinorosi esaltati. Non è così. La stampa, il sistema dell’informazione in generale, pur con tutti i limiti che vanno denunciati, rimane il pilastro di ogni democrazia. Le dittatura non si presentano sempre con gli stivaloni e i carri armati. La libertà si perde anche poco alla volta, strada facendo.
A movimenti di questo tipo, non si può rispondere con la politica tradizionale. Attenzione, non intendo dire che la politica tradizionale è affetta da malcostume, immoralità e così’ via, per cui è perdente nei confronti di movimenti ribellistici di varia natura. Questo è un problema che si potrebbe risolvere lavorando a costruire una classe politica e dirigente di persone oneste e perbene cosa che credo, in fondo, il nuovo corso del PD ha inaugurato. Mi riferisco al cosiddetto buon governo, al il concretismo amministrativo, al riformismo moderato che non riescono a rispondere all’ansia irrazionale che pervade i tanti fenomeni insorgenti in Italia come all’estero. Fosse così, la Clinton non avrebbe problemi negli Stati Uniti d’America, essendo riconosciuta come la politica più esperta forse nell’intero panorama mondiale. Non avrebbe perso, tanto per fare un salto quantico, il sindaco Piero Fassino, che ha, a dire di tutti, avversari compresi, aveva amministrato con saggezza la città di Torino. La questione dunque è altra rispetto alla cosiddetta “buona politica”.
Naturalmente non ho la risposta. Potrebbe essere facile dire che si aspetta un nuovo grande movimento politico, un uomo o una donna, o un gruppo di uomini e donne in grado di imprimere alla storia una svolta, come se all’orizzonte si profilassero un nuovo Ghandi o un nuovo Hitler (nell’augurio, ovviamente, che comparisse il primo). Ma queste sono immaginazioni, forse speranze, per certi aspetti paure. Quando si dice che bisogna ricostruire una nuova sinistra sulle ceneri di una vecchia sinistra ormai consumata, cosa si intende dire?
Questo è il punto. Su questo bisogna aprire un’ampia, autentica, vera discussione. Dato che, mi sento di poter dire, la risposta del riformismo alla Blair, fondata su una rivisitazione del Welfare state non risponde ai problemi odierni, così come in verità non rispondo le politiche liberiste che negli anni ottanta e novanta del Novecento hanno, forse, in qualche modo svolto un ruolo.
Ciò che è certo, in conclusione, é che compito di un grande partito come il PD e soprattutto dei giovani che aderiscono a questo partito, cominciare a discutere di questi temi, provare a dare risposte che non siano, lo ripeto, puramente amministrative.
Forse la politica deve uscire dai confini dell’economicismo per ritrovare una sensibilità, un'anima.
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