Artecinema: il rapporto tra arte e realtà nel documentario Frame by frame
Si è tenuto a Napoli dal 5 al 9 ottobre il 21° festival di film sull'arte contemporanea, con serata d'apertura al teatro San Carlo e le successive al teatro Augusteo (per il programma completo rimandiamo al sito www.artecinema.com).
Un evento di risonanza internazionale che arricchisce il patrimonio culturale della città e che ci pone davanti a quesiti basilari e al contempo sempre tremendamente attuali sull'arte, sulle sue forme e sulla sua rapprentazione: in particolare centrale è la questione del rapporto tra arte e cinema: qual è il senso di un film, già intrinsecamente opera d'arte, che rappresenta l'arte contemporanea? È il film stesso l'opera o diventa mero mezzo di fruizione? Per dare risposte a tali domande conviene soffermarsi sulla proiezione della serata inaugurale del festival: il documentario Frame by frame.
Il film segue le vicende di quattro fotografi afghani che rischiano la propria vita per documentare la realtà; ricordiamo che durante il governo talebano scattare fotografie era considerato reato e caduto il regime una rivoluzione fotografica ha avuto inizio. Ecco allora il primo dei temi classici che si concretizza in una vicenda attuale: l'esigenza di fare arte. Da dove nasce? Cosa porta delle persone a rischiare la vita per fare fotografie? I manuali di storia dell'arte ci insegnano che per le civiltà antiche le prime forme artistiche sono ricollegabili a esigenze religiose, ma nell'età in cui dio è morto il bisogno si fa umano e soprattutto sociale: l'esigenza di documentare, storie di uomini per gli uomini, arte che vuole essere realtà, che si presta al giornalismo e all'inchiesta, che si allontana sempre più dalla finzione, esasperazione e distorsione della mimesis. Tutti temi trascurati seppur fondamentali fin dalla nascita dell'arte grafica e cinematografica: a proposito di cinema, la notizia e la sua riproduzione sono temi nodali per buster keaton nel cameraman già nel 1928.
Una pellicola che mi sento di richiamare per comprendere meglio il rapporto tra arte, realtà, sua rappresentazione e finzione è blow-up di Antonioni, film difficilmente definibile come un giallo in cui il protagonista Thomas è convinto di avere fotografato un tentato omicidio; si reca sul posto dove trova il cadavere, ma frattanto tornato in studio non trova più il negativo nè le stampe e, al mattino dopo, tornato sul luogo del delitto munito di macchina fotografica scopre che anche il cadavere è scomparso. La verità è sfuggente, l'arte deve arrendersi alla sua finzione e ce lo ricorda l'epilogo del film in cui una compagnia di mimi gioca una partita di tennis senza palle nè racchette dinanzi a un Thomas ormai convinto di aver immaginato tutto che segue la traiettoria della pallina immaginaria sentendone anche il tipico rumore. Scena che non a caso richiama un episodio proprio del cameraman anche se lí si trattava di una partita di baseball.
La differenza con Frame by frame è che in questo caso si tratta di un documentario, ciò però non elimina il fatto che l'arte non può essere altro se non rappresentazione della realtà anche quando si presta all'inchiesta: la finzione rimane elemento ontologico, ogni scelta è una scelta di stile, ogni inquadratura tecnica artistica, ogni tentativo di avere un effetto "realistico" rappresentazione della realtà stessa: possediamo solo mezzi più sofisticati per imitarla meglio. Ecco la ragione per cui il film non può essere solo mezzo di fruizione dell'opera d'arte ma è esso stesso opera d'arte nelle sue modalità rappresentative.
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