The Young Pope: quale sarà la fortuna della nuova serie?
La televisione ama raccontare storie. Tante e diverse. Dicono che abbia un naso più lungo di Pinocchio e il difetto di voler essere curiosa, a volte morbosa, insospettabilmente premurosa quando impegnata a intrattenere miliardi di spettatori che -singolare legge del contrappasso mediatico- adorano sentirsi raccontare quelle storie, sono curiosi, molto morbosi, persino premurosi verso chi sta dall’altra parte del tubo catodico.
In questo le serie televisive rappresentano la più popolare delle armi narrative al servizio della televisione.
Come Mario A. Rumor ha fatto notare in Created by (2005), la serialità televisiva riesce a soddisfare completamente l’interesse conoscitivo dei telespettatori, generando il desiderio compulsivo del “seguito” che rende tutti un po’ schiavi delle serie tv. Queste attraversano un periodo particolarmente fervido a giudicare dai risultati riportati da alcuni famosi prodotti di argomento storico-sociale e da rifacimenti in chiave fantasy di mondi paralleli che sembrano, molto spesso, specchio del nostro presente. Purtroppo l’Italia non ha mai conosciuto l’estrema fertilità delle emittenti americane, né messo completamente alla prova se stessa con l’indefinito magma tematico dei prodotti d’oltreoceano. Il limite italiano è soprattutto l’ammorbidimento mediatico a cui vengono sottoposte molte serie, prima di essere trasmesse. Nel caso di The Young Pope però questa operazione non è stata eseguita.
Sorrentino, si sa, è uno di quelli che ad ammorbidirsi non ci pensa proprio: come le sue pellicole, il nuovo gioiellino televisivo restituisce al pubblico numerosi momenti di attesa, pochi scorci narrativi, ma soprattutto tante elucubrazioni; ci sono fatti che potrebbero accadere e talvolta si lasciano anche accadere, per poi essere ritirati subito dopo come in un nastro che viene riavvolto. Il papa protagonista, Lenny Berardo, è personificazione di questo stesso atteggiamento: non intende in nessun modo mostrarsi ai suoi fedeli, affermarsi in quanto presenza definita. Il rifiuto dell’iconoclastia è la strategia vincente del nuovo Pio XIII, colui che sfrutta il mistero legato alla sua immagine per creare attese, sospetti, ambiguità e di conseguenza interesse crescente. La tensione dei fedeli e quella del pubblico è tutta racchiusa intorno a un solo quesito, lo stesso che il furbo e simpatico Cardinale Voiello proporrà al suo sottoposto: “Chi è veramente Lenny Belardo?”.
Il passato sconosciuto del nuovo eletto dispiace troppo alla Curia romana, alle mire e agli interessi di chi non intende assistere a sostanziali sovvertimenti dello stato attuale. Tocca adesso gestire un giovane papa a tratti intransigente, pieno di sé e non deciso a restituire sconti ai suoi collaboratori. La realtà che ci viene presentata somiglia quasi ad un’anomalia distopica –eppure perfettamente inserita nella Roma odierna- se si riflette sulla possibilità che il Consiglio abbia eletto una mosca bianca, non conoscendone minimamente gli intenti o gli avvicendamenti precedenti. Insomma un pontefice americano –il primo eletto nella storia- che potrebbe rompere le uova nel paniere a troppe persone. Nulla di più lontano da ciò che conosciamo. Ma sarà questa la fortuna della nuova serie?
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