4 Note a margine sulla Paranza dei Bambini di Roberto Saviano
La Paranza dei Bambini, romanzo di Roberto Saviano uscito nelle librerie il 10 novembre, racconta dell’ascesa controversa, cruda e feroce, di un gruppo di fuoco della camorra di Forcella formato da adolescenti, e in particolare del suo capo, Nicolas Fiorillo. Quelle che seguono, sono alcune considerazioni su alcuni dei temi del romanzo.
1. Il “napoletano barbaro” dei paranzini. Diversamente dalla serie tv, in cui la lingua napoletana è utilizzata in maniera immediata, al punto da richiedere, al resto d’Italia, i sottotitoli, qui si tratta di trovare un modo per raccontare una storia dentro la stessa atmosfera linguistica, ma in modo che sia comprensibile a tutti. Il corpo del romanzo è in italiano, nei dialoghi l’autore sceglie un certo uso del dialetto che è simile, dal punto di vista dell’operazione letteraria, al romanesco utilizzato da Pier Paolo Pasolini nei Ragazzi di Vita. E’ un lessico gergale, sotto diversi aspetti distante dal dialetto come lingua letteraria di Salvatore Di Giacomo o di Eduardo De Filippo, ed anche, da un certo punto di vista, più o meno purista, una sua corruzione o imbarbarimento, che è in ogni caso molto più prossimo alla lingua napoletana attualmente effettivamente parlata. Per questa operazione, Saviano si è avvalso della consulenza dei due linguisti Nicola De Blasi e Giovanni Turchetta.
2. L’orgogliosa rivendicazione di un metodo, come l’autore stesso afferma, “neorealista”. In particolare, Saviano fa esplicito riferimento, rispetto a questo criterio di racconto della realtà, a Carlo Levi e Vittorio De Sica. Diversamente da Gomorra, ed anche da Zero Zero Zero, che in quanto saggi erano un certo modo comunque narrativo di presentare dei fatti realmente accaduti, la Paranza dei Bambini è un romanzo, una storia con personaggi non realmente esistenti. Questo pone la questione, certo non nuova, dei rapporti comunque complessi, tra un certo racconto dei fatti reali, ed una storia che racconta di personaggi di finzione, ma che vuole rappresentare nella maniera più rigorosa possibile le cose come sono. Secondo l’autore, seguire la storia di un personaggio che è molto vicino a come le cose realmente stanno (d’altra parte “paranza dei bambini” è il nome reale – per quanto giornalistico – di un reale gruppo camorristico) permette di approssimare le logiche, come le cose funzionano, molto meglio che una nuda presentazione dei fatti.
3. Come lo stesso Roberto Saviano ha avuto modo di affermare nella prima presentazione del libro a Roma, quello che inquieta, e che ha intenzione di raccontare, di mostrare, è che questi ragazzi perduti ci sono simili, sono come noi, sono il modo in cui in quel contesto si organizza un certo modo di desiderare ed anche una certa ferocia che investe il campo sociale. E’ nei rapporti umani ed in quasi tutti i luoghi di lavoro. Nicolas e i paranzini vogliono le scarpe da FootLocker, vestire giusto e stare nei giri giusti, entrare nel privè di un locale esclusivo di Posillipo frequentato dalla Napoli bene. Quella percezione che in esperienze come quella c’è una certa intensità della vita che altrimenti, lavorando e vivendo solo di stipendio, sarebbe inaccessibile, secondo Saviano è quello che ci riguarda da vicino. Fare più soldi possibile, più in fretta possibile, è in un certo senso neoliberismo nella sua forma più pura, nella sua logica interna. Ed è, in questo senso, il mondo che ci circonda. Non la ferocia da bestie di un mondo altro, radicalmente diverso dalle nostre vite normali.
4. Nel raccontare queste storie si avverte, ma questo vale pressoché per ogni scrittore, quasi una ossessione per un tema, quella che si potrebbe chiamare una certa fascinazione per il male. Saviano si guarda più volte dall’accusa di quella che si chiama, con espressione gergale, “sputtanapoli”, vale a dire raccontare solo una parte della città, tendenzialmente quella peggiore, tendenzialmente quella che vende di più. Si difende affermando – e questo, come argomento, è propriamente neorealista – che è solo raccontando la verità che si rende giustizia ad un posto, che si fornisce l’opportunità di un riscatto. Però comunque colpisce, si ha l’impressione che la verità raccontata è una certa parte della verità. Scampia come la Sanità come Forcella o Ponticelli sono si, margini, luoghi o terre di confine, ma sono anche luoghi di tutto un tessuto di società civile, associazioni, comunità cristiane, insegnanti o parroci, consiglieri di municipalità, di tutta una vitalità effervescente che sono poi forme di resistenza minute, quotidiane. Colpisce, questo è indubitabile, l’assenza, nelle storie che racconta, in Gomorra – la serie come in questo ultimo romanzo, di personaggi o figure che hanno una qualche rilevanza, anche dal punto di vista narrativo, e che sono da quest’altra parte della verità, ad essere completi ed obiettivi, e senza negare il male che comunque c’è. D’altra parte, anche quando vengono raccontate queste storie, e questo è piuttosto evidente in La Bellezza e l’Inferno, si tratta di personaggi le cui vite raccontano una sorta di martirio. Tra gli altri, ad esempio, don Peppe Diana, di cui gli è riuscita la stessa cosa riuscita a Marco Tullio Giordana con Peppino Impastato: ripescarlo, ad anni di distanza, come simbolo, dargli più risalto che all’epoca della sua morte effettiva. Comunque martiri, in un certo senso, o comunque storie – forse – troppo funestate da questo gorgo affascinante e terribile.