Vermeer a Capodimonte
Grazie ad una intesa con il Metropolitan Museum di New York, la “Donna con il liuto”, capolavoro del pittore fiammingo Jan Vermeer, sarà l’opera principale di una esposizione curata da Sylvain Bellenger, che festeggia così il suo primo anno di direzione, visitabile al Museo di Capodimonte fino al prossimo 9 febbraio.
Soggetto del quadro, una donna seduta alla scrivania che accorda un liuto, guardando distrattamente dalla finestra. Una luce aurorale, soffusa illumina la scena. La ricca veste gialla, inondata dai raggi del sole, e il pendente di perla la collocano nella buona borghesia di Delft, probabilmente si tratta della moglie dell’autore del quadro, Jan Vermeer. Sulla parete, alla destra della tela, una carta geografica, riprodotta fedelmente nei dettagli, che ricorda quella fatta dal cartografo olandese Jodocus Hondius nel 1613, esplicito richiamo al rigoglioso sviluppo capitalista e colonialista delle Province Olandesi da poco liberate dal giogo spagnolo e divenute ormai il cuore pulsante d’Europa, con la sua borghesia in ascesa imperiosa e il proliferare dei commerci con le colonie. Probabilmente non a caso, ad Amsterdam nella stessa prima metà del XVII secolo Cartesio scriveva le sue Meditazioni Metafisiche, opera che possiamo considerare fondativa della modernità, e sempre olandese era Baruch Spinoza.
Come altri soggetti di Vermeer, il quadro è la descrizione minuta di un gesto minimo, evoca la grazia di una semplicità essenziale, misurata, gentile, elegante. Vermeer dipinge, appunto, le “azioni minime”: una donna che ricama, una che cuce, un’altra che scrive una lettera. Prende questi gesti quotidiani, e li riempie di luce. Caravaggeschi, come era moda imperante nel gusto artistico dell’epoca, sono le pose, il gusto, lo stile compositivo. E però quelli di Vermeer sono personaggi composti, colti in un momento minimo, illuminati da una luce che spesso proviene (come nel caso del quadro ospitato a Capodimonte) da una finestra collocata alla sinistra della tela, ma che si direbbe anche, in un certo senso, una luce interiore. Nulla a che vedere con la luce di Caravaggio, che squarcia letteralmente l’oscurità, è quasi violenta, irrompe a tagliare la scena e a renderla drammatica. Con tutto quello che significa, anche da un punto di vista psicologico, si tratta invece qui della grazia di un gesto quotidiano illuminato da una luce interiore.
La sala adiacente a quella in cui si espone il capolavoro, oltre ad un liuto ed una carta geografica, esplicito richiamo ai due oggetti rilevanti del quadro, contiene 4 tele di artisti napoletani, facenti parte della collezione di Capodimonte, che rappresentano donne suonatrici. Si tratta dell’Autoritratto alla Spinetta di Sofonisba Anguissola, della Santa Cecilia in Estasi di Bernardo Cavallino, della Santa Cecilia al clavicembalo di Francesco Guarino e della Santa Cecilia all’organo e angeli musicanti e cantori di Carlo Selitto.
Santa Cecilia è la martire cristiana dei primi secoli eletta patrona della musica, è per questo raffigurata, nella sua iconografia, con uno strumento musicale, che in alcune occasioni è proprio appunto un liuto. Potremmo dire che la donna di Vermeer è una musa comunque, in un certo senso, anche se una musa “anonima”.
Napoli, insomma, nella sua luce migliore, inserita nel circuito dell’arte più rappresentativa, Napoli vitale ed appassionata, che richiama migliaia di turisti. In una occasione come questa, non più la città dolente e controversa, ma quella vivace ed europea.