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Promuovere la cultura delle differenze nel mondo del lavoro. La conferenza di Diversities@work

Scritto da Valter Catalano Il . Inserito in I Generi

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Discriminazione e violenza nel mondo del lavoro verso le persone lesbiche, gay, bisessuali e transessuali. È stato questo il filo conduttore della conferenza che si è tenuta la scorsa settimana a San Giorgio a Cremano. L’incontro è stato l’ultima tappa di un impegnativo progetto internazionale finanziato dal fondo europeo Erasmus+ che, oltre alla partecipazione di organismi italiani guidati da ISCON, ha visto il coinvolgimento di associazioni e aziende di Spagna, Belgio, Austria e Bulgaria.

Obiettivo di Diversities@Work è stato di individuare metodi e strumenti utili a migliorare la posizione dei lavoratori e delle lavoratrici lgbt per ridurre e contrastare il disagio che dichiarano di vivere nella vita professionale. Per produrre questo esito il gruppo di studio ha privilegiato un approccio che valorizzasse le differenze legate all’orientamento sessuale e all’identità di genere, considerandole come risorse produttive capaci di aumentare il potenziale di business delle imprese.

Il convegno finale, oltre a restituire i risultati dei lavori, è stato un momento interessante per fare il punto della situazione sul nostro territorio. Non è un caso che come luogo del dibattito, come sottolineato da Valeria di Giorgio portavoce del sindaco Giorgio Zinno, è stata scelta Villa Vannucchi, splendido gioiello del Miglio d’Oro, dove lo scorso settembre è stata celebrata da Monica Cirinnà l’unione civile del primo cittadino sangiorgese e del suo compagno.

Il confronto si è aperto con i saluti di Isabella Bonfiglio, Consigliera di parità della Città Metropolitana di Napoli. Nel suo intervento è entrata subito nel merito della questione ricordando che «l’accesso al lavoro, soprattutto nel caso delle persone transessuali, è completamento negato; e di conseguenza, come unica alternativa spesso rimane la prostituzione». La realtà aziendale sul tema dell’inclusione e del benessere dei suoi lavoratori lgbt ha ancora molta strada da fare. Esistono alcuni esempi positivi, “fiori all’occhiello” in tema di diritti come IKEA, che tuttavia dietro la “facciata” lasciano trasparire dinamiche non realmente paritarie: «In alcuni casi, lavoratrici in ritorno dalla maternità – ha continuato la Bonfiglio – sono state punite e trasferite da altri reparti in cucina».

Diversities@work riadatta al mondo del lavoro alcuni strumenti e concetti utilizzati già con successo in campo educativo. È sicuramente un progetto apripista in Italia sul tema dei diritti dei lavoratori lgbt in quanto rivolge in maniera innovativa la sua attenzione agli operatori del mercato del lavoro: responsabili delle risorse umane, consulenti aziendali, diversity manager e addetti alla gestione e amministrazione del personale. Alessandra Antinori, responsabile dell’ente partner CIRSES, ha sintetizzato il senso di questo progetto: «Serve una forte azione di formazione su questi temi nelle aziende per potenziare le capacità degli addetti alle risorse umane di intervenire sugli episodi di discriminazione e creare un clima positivo».

Gli organigrammi delle aziende italiane, nonostante la legge contro i licenziamenti discriminatori, sono ancora intrisi di omofobia e transfobia. Secondo Federica Paragona di CIRSES «Le grandi imprese hanno facciate esterne che valorizzano la presenza di lavoratori lgbt e poi al loro interno questi temi sono assenti». Come assente è il momento relazionale «il confronto – ha continuato la Paragona – è un momento fondamentale in cui si impara a relazionarsi con persone che vivono esperienze diverse e la pensano diversamente»; in tal senso i formatori aziendali dovrebbero avere un ruolo di mediatori per «cambiare la cultura organizzativa e far emergere, attraverso un lavoro di consapevolezza, gli stereotipi e i pregiudizi».

Ma come vanno le cose negli altri paesi europei? Gli altri enti comunitari partner hanno restituito un quadro molto variegato che parte da Belgio e Austria dove c’è una percezione positiva della tutela degli lgbt, passando per la Spagna che ha fatto passi da gigante in tema di diritti, fino alla Bulgaria in cui sia l’ordinamento giuridico che il tessuto produttivo presentano ancora evidenti lacune sulle discriminazioni e di conseguenza sono totalmente trascurate eventuali politiche di tutela dei lavoratori lgbt.

Tornando al contesto aziendale italiano, i momenti più sensibili per le risorse umane lgbt sono le fasi della selezione e dello sviluppo e su questi aspetti si è concentrato l’intervento degli esperti della Cooperativa COOS Marche «Occorre un’analisi sull’accesso per scardinare i criteri valutativi discriminatori in fase di selezione. Quando si indaga sulle modalità di gestione del personale, bisogna far emergere le pratiche scorrette adottate dalle aziende». In particolare, sotto la lente degli esperti ci sono gli addetti al recruiting «Un’unica persona spesso incarna un duplice ruolo sia amministrativo che dello sviluppo e ciò incide negativamente sulle politiche di diversity management».

Monica Buonanno, delegata di Italia Lavoro, invece ha espresso le sua perplessità sulle modalità di gestione delle politiche che ancora non vengono praticate in maniera integrata «Le politiche del lavoro se non strettamente affiancate da quelle sociali, rischiano di essere pura matematica». Infatti anche misure come Garanzia Giovani che pur dovrebbero garantire un accesso paritario al lavoro «presentano grosse difficoltà ad inserire persone transessuali». «Povertà educativa e povertà di relazione – ha continuato la Buonanno – impediscono alle aziende di affrontare le diversità».

«Un lavoratore omosessuale quando comincia un nuovo lavoro» in termini di difficoltà «parte da meno 5 rispetto agli altri poiché deve controllarsi due volte, pesare tutto quel che dice e il modo in cui si pone» questo è quanto sostenuto da Fulvio Sperduto dell’Associazione Italiana Formatori. Capita ancora molto spesso che anche in grandi aziende un lavoratore venga deriso dai colleghi e superiori per la propria omosessualità ed è per questo motivo che è indispensabile introdurre una figura mediatrice già ampiamente utilizzata nelle altre realtà aziendali europee. Tuttavia, ha concluso il delegato AIF, «In Italia il diversity manager ancora non c’è».

Nella fase finale dell’evento sono state presentate le testimonianze di chi vive direttamente sulla propria pelle le discriminazioni. Nel confermare gli evidenti limiti che le nostre aziende ancora mostrano nella gestione della diversità delle proprie risorse, Antonello Sannino, presidente di Arcigay Napoli, ha mostrato la sua preoccupazione per lo stato attuale delle cose: «Napoli presenta il più grande bacino di transessualità in Europa; molte persone transessuali finiscono nelle reti della criminalità organizzata perché vengono subito discriminate per il loro aspetto e non riescono ad accedere a nessun lavoro».

«Anche per gli omosessuali – ha continuato Sannino – ci sono difficoltà: basti pensare che se si organizza una cena di lavoro non sempre c’è la libertà di farsi accompagnare dal proprio partner come avviene per una persona etero». Quasi la metà dei lavoratori lgbt, infatti, non è “visibile” tra colleghi a causa del clima poco friendly che domina nelle aziende.

In questa situazione difficile, ha invece ricordato Daniela Falanga, delegata transessuale di Arcigay, «il rischio è che il mondo del lavoro perda tanti professionisti lgbt a causa dei pregiudizi ed è per questo che il personale delle aziende deve essere formato per accoglierli».

La conferenza si è conclusa con le parole di Fabio Caruso, giovane attivista transitato da un corpo femminile ad uno maschile, che ha evidenziato tutta la drammaticità di chi, da transessuale, si approccia al mondo del lavoro: «Finora sono riuscito ad accedere solo a Garanzia Giovani. Quando ho mandato la mia candidatura per altri lavori, molti mi hanno fatto notare la mia condizione. Il loro atteggiamento esprimeva chiaramente il loro giudizio per il mio aspetto maschile discordante dal nome sui documenti ancora femminile. Le aziende discriminano e intanto non facciamo esperienza. Il risultato è che ora sono doppiamente discriminato perché adesso per il mondo del lavoro a 27 anni non ho un curriculum sufficiente per essere inserito».