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L’Angolo del Libro presenta: "La Dismissione" di Ermanno Rea

Scritto da Francesco Verdosci Il . Inserito in Letteratura

La dismissione Rea

Ci sono libri che ci colpiscono solo per il titolo, per la copertina o perché provengono da un noto autore ma che una volta cominciati procedono senza particolari colpi di scena, senza accelerate improvvise, quasi per inerzia, crogiolandosi nella loro semplicità.
Forse perché narrano non di eroi epici ma di uomini semplici, le cui storie però sono tanto semplici quanto importantissime. Questi racconti si fanno strada come fossero dei motori diesel, di quelli tipici dei Tir che le fabbriche usano per trasportare le loro merci. Certamente più lenti e con scarsa ripresa ma decisamente molto più forti specialmente sulla lunga distanza.

Chiaro esempio ne è “La Dismissione” (edito per la prima volta da Rizzoli nel 2002 ma riproposto in edizione tascabile economica da Feltrinelli) in cui lo scrittore napoletano Ermanno Rea, purtroppo recentemente scomparso, narra la triste fine di una delle imponenti fabbriche / simbolo del Sud Italia - e della Campania in particolare - l’acciaieria ILVA/Italsider situata sul lungomare di Bagnoli.

Uno dei meriti di questo libro è quello di entrare con rara efficacia, meglio di tanti saggi sociologici, nella propria epoca storica scrutandola ed analizzandola a pieno, in profondità, attraverso la vita degli operai e delle loro famiglie, esplorandone i comportamenti, le sensazioni, le azioni ma soprattutto i sentimenti. Ermanno Rea, però, non si ferma solo a tale aspetto: questo libro ha anche il grandissimo, seppur triste, pregio di anticipare, quasi di presagire, tutto ciò che poi è davvero successo all’industria del Mezzogiorno, chiedendosi dove è mai finita la questione meridionale e se è mai esistita davvero la volontà di cambiamento economico e sociale per il Sud Italia o se siamo stati e siamo ancora di fronte al parto folle di menti tanto vittimiste quanto allucinate.

La dismissione dell’ILVA di Bagnoli è la dismissione di un’intera città ma non solo: rappresenta la dismissione di tutto l’impianto industriale post bellico del Sud Italia. Le potenti parole dell’autore napoletano, narrando le vicende dell’acciaieria e dei suoi operai durante gli ultimi momenti d’attività produttiva, ci spiegano che, per attuare questa dismissione, era tanto necessario quanto inesorabile il dover abbattere l’emancipazione in particolare degli operai più combattivi e consapevoli di ciò che stava accadendo, imbastardendoli con l’inserimento di clientele sia camorriste che della “bassa politica di scambio” in tutte le varie attività quotidiane, in modo così da delegittimarli a tal punto da convincere l’opinione pubblica che il lavoro di quegli operai, di quella fabbrica, non solo era ormai inutile ed altamente inquinante ma anche “illegalmente dispendioso”. Gli operai stessi assistono, dunque, all’omicidio dell’unica fonte di sussistenza economico-sociale della loro vita, mascherato da opera umanitaria. Un omicidio che è poi divenuto quello sia di una città che di tutta la Campania.

Ermanno Rea sceglie di raccontare questa particolare storia letteralmente immergendosi anima e corpo nel protagonista – il tecnico delle “colate continue” Vincenzo Buonocore - utilizzando l’espediente della narrazione autobiografica. Volutamente, Vincenzo Buonocore non è un protagonista qualsiasi, un operaio qualsiasi. È un tecnico specializzato, ovvero il simbolo dell’homo-faber del Novecento, colui che incarna alla perfezione sia l’operaio-sociale dell’epoca FORDista, sia l’operaio-massa della grande industrializzazione degli anni ’60. Il procedere del racconto, poi, ha sia un punto di forza che un punto di demerito proprio nella descrizione dettagliatissima dell’attività del protagonista e dunque nel quasi esasperante utilizzo di termini tecnici - come nella descrizione dei processi quali le colate, i laminatoi, i parchi minerali, le siviere ecc. – che però consentono al lettore di immedesimarsi non solo nella vita e nei panni del protagonista ma anche dell’intera struttura della fabbrica, ridando fisicità alla descrizione delle azioni compiute tanto dagli operai quanto dai macchinari stessi.

In Conclusione, nel consigliare la lettura di questo romanzo, anche se non è il picco massimo raggiunto dall’ars letteraria di Ermanno Rea, possiamo certamente affermare che è un libro non solo molto importante ma sicuramente, nonostante la “ferrosa pesantezza” che contraddistingue alcuni passaggi, è molto appassionante poiché è storia attuale ed in continua evoluzione.

Particolare menzione va infine fatta per le pagine più toccanti - magistralmente vergate dalla impeccabile penna dell’autore napoletano - in cui viene descritto l’abbattimento con la dinamite della torre piezometrica dell’Impianto mentre gli operai e gli intellettuali cantano le solenni note dell’Internazionale (quasi come fossero i passeggeri di prima classe durante l’affondamento del Titanic) che rappresentano indubbiamente la metafora della demolizione brutale delle lotte operaie, dell’economia industriale e del lavoro come riscatto sociale a cui purtroppo continuiamo ad assistere senza sosta in tutto il Sud Italia.