Omaggio a Fausto Mesolella
“Non occorre parlare. Certi silenzi soffiano come il vento”. Cantando le parole dello scrittore e poeta Stefano Benni, Fausto Mesolella non immaginava di descrivere anche il momento in cui il sipario sarebbe stato tirato sulla sua carriera di grande interprete musicale, non solo campano ma nazionale. Oggi su QDN vogliamo commemorare l’artista scomparso circa una settimana fa, perché a volte è giusto anche romperli certi silenzi.
Una carriera di tutto punto: poliedrica, ispirata, persa interamente dietro le note liberate dalle corde di una chitarra; in più il programmatico titolo di quell’album “Suonerò fino a farti fiorire” che qualche tempo fa si presentò come una promessa, ma adesso pare quasi un testamento. Il ritmo blues cadenzato e trascinato in alcuni momenti, soffice e complice in altri, tornerà a tormentare i sogni di molti degli artisti che con Mesolella collaborarono; perché a dispetto dell’impopolarità a cui un pubblico giovane l’ha negli ultimi tempi condannato, questo strimpellatore apparentemente non impegnato, rappresenta per una certa tradizione della musica e cultura italiana una chiara forma di idillio musicale dai tratti spiccatamente intimistici.
I duemila portarono forse il successo più grande e inatteso grazie alla partecipazione al Festival insieme ai soci di una vita, i compagni di Piccola Orchestra Avion Travel. Anche questo è uno di quei nobili esempi del fitto panorama sonoro del bel paese, che porta spesso su di sé il peso dell’anonimato, perché incapace di rientrare nei confini di certe mode musicali o forse troppo perso dentro il solipsismo quasi teatrale delle prime stagioni. Passarono comunque gli anni e Fausto Mesolella non rimase solo il volto timido e sfuggente del chitarrista del gruppo, ombra pura e contenuta che muove i fili dietro il viso di bronzo del coraggioso front-man Peppe Servillo; già negli anni ’90 anello fondamentale del Nada Trio (il cui nome non richiama quella celebre artista solo per un banale caso di omonimia), si dimostrò essere spalla forte e collaboratore instancabile per la creazione dei successivi progetti della cantante toscana.
Quando i suoi esili arrangiamenti si districavano tra il riempire intermezzi teatrali, il sostenere esibizioni drammatiche, o l’essere promossi a colonne sonore di pellicole ambiziose; ogni talvolta che essi si imponevano come fortunati leitmotiv , guadagnando il favore della critica; ma soprattutto quando Mesolella metteva mano ad un testo leggero, vero e adattabile ad artisti come Fiorella Mannoia, Tricarico, Maria Nazionale e Raiz; ognuna di queste volte, dicevo, faceva comunque gran sfoggio di umiltà e discrezione. È forse e soprattutto per questo motivo che molti non lo ricorderanno o magari non avranno mai modo di scoprirlo, di scoprire non lo sperimentatore ma l’artigiano della musica (vincerà un premio omonimo nel 2015).
In uno dei suoi ultimi lavori l’artista campano ha scelto di reinterpretare i testi poetici di Stefano Benni, producendo “CantoStefano - Fausto Mesolella canta Stefano Benni” (2015). Nella traccia “Quello che non voglio”, che il poeta bolognese scrisse e pensò per Fabrizio De André, Mesolella ripeteva al suo pubblico come il grande cantautore prima di lui: “Io non voglio morir cantante. Se al buon sonno del padrone servirà la mia canzone, a gola storta voglio cantare, ringhio di porco e romanze nere. Voglio svegliarvi col fiato ansante. Io non voglio morir cantante”. Ed in fondo è ancora qui a cantare per chiunque abbia voglia di ascoltarlo.