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I fiori del giorno, storie di solitudini e attese a Napoli

Scritto da Francesca Ciaramella Il . Inserito in Letteratura

fiori del giorno Morra

Con la raccolta di racconti I fiori del giorno, edito da Alessandro Polidoro Editore, Beatrice Morra è già alla sua seconda pubblicazione, pur se giovanissima studentessa di lettere. Non sono solo le cifre ad impressionare l’interessato lettore, ma la sua sottile capacità di guardare al particolare minimo, al granello di sabbia, al frammento, alla scheggia di esistenza, e di inserirla in un piano più grande e significativo che trova quasi sempre in Napoli e nei suoi luoghi simbolo (“il centro”, Posillipo, il Monastero di Santa Chiara, il “lungomare”) ragione d’essere.

Come classe 96 Beatrice rivela un’intoccabile benevolenza nei confronti della sua città: grazie a insaziabile fiducia descrittiva il testo trabocca di immagini e dipinti, a tinte più chiare e più scure, di spazi geografici quotidiani e familiari. E così storie apparentemente slegate, staccate, linee irregolari e percorsi chiaramente scollegati, possono per un attimo avvilupparsi nelle parole e nelle trame di questo testo. Il secondo racconto, Miti di fondazione, legittima l’imponente ombra che la città napoletana lascia su questo libro, riscrivendo il mito della sirena Parthenope innamorata e rifiutata da Ulisse ed evocando la storica statua omonima di Piazza Sannazzaro. La sensazione più forte è che l’autrice abbia voluto trasportare ore, minuti e secondi di passate contemplazioni, nelle sue parole e nelle vicende dei suoi personaggi: come la “flebile” Daniela, abitante del primo racconto, gioca ad osservare in sordina la fertile vita dei passanti in strada, mai sazia e veramente soddisfatta della sua abilità nell’improvvisare finzioni narrative; allo stesso modo si percepisce che chi ha messo mano a queste piccole vicende, l’ha fatto facendo leva su tutto il suo personale bisogno di “immaginare storie”.

Dalla prima pagina fin sul finale qualcosa rimane sospeso, e qualcuno rimane in attesa: ci riscopriamo attenti ad individuare lo strano significato del titolo, che viene non a caso affidato alle ultime pagine; cerchiamo di indagare l’esito delle vicende di Daniela, e forse speriamo che le venga data una possibilità in più rispetto a quelle che il suo bastardo fato ha già deciso di destinarle. Anche le altre storie sembrano pervase da un sentimento di attesa (quella del padre, quella dell’amore o solo del giorno in cui si ritornerà finalmente alla propria terra) ed esplicita solitudine, anzi quest’ultima stride particolarmente nelle vicende del “pazzo” del Monastero di Santa Chiara e di Fernanda.

Si può provare a leggere le parole di Beatrice Morra e si scoprirà anche che non si fa la minima fatica. Tutto viene incredibilmente naturale, anzi il lettore finisce ben presto per incanalare tutta la sua empatica partecipazione per le sofferenze e l’isolamento dei protagonisti: c’è chi chiede di essere ascoltato come Fernanda, chi si rifiuta volontariamente di avere un contatto diretto e palpabile col mondo come Daniela, ancora chi non ha mai vissuto la vita se non in abulica attesa e forse in qualche vitalistico istante di “creazione” come Luca. E sullo sfondo anche Napoli rimane lì a guardare nella sua impassibile bellezza classica.