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Il dissesto idrogeologico della "Fragile" Italia

Scritto da Francesca Ciaramella Il . Inserito in A gamba tesa

dissesto

Cos’è il dissesto idrogeologico? L’Italia “fragile” degli smottamenti, delle alluvioni e delle erosioni è una realtà temporanea e legata solo a imprevedibilità climatiche?

I recenti terremoti ci hanno abituato a temere la minaccia che viene dal basso, quella inaspettata e non fisicamente individuabile, della cui formazione non siamo i diretti responsabili; ma la storia del “fragile” suolo italiano non dimentica il rischio che viene dalla superficie, dalle sue montagne e dalle distese d’acqua; si parte con lo storico disastro del Vajont fino ad arrivare all’immagine di un paese sommerso dal fango nell’estate del 1998 a Sarno.

Secondo una recente ricerca condotta dal Servizio Geologico Nazionale (SGN), in un arco di tempo compreso tra la fine del secondo dopoguerra e il 1990, il costo in termini di vite umane a causa dei disastri idrogeologici (frane e alluvioni) ha raggiunto la drammatica cifra di 3.483 unità. I comuni italiani colpiti dal dissesto idrogeologico, sempre nel medesimo periodo, sono non meno di 4.568 (56,5% del totale nazionale), cui corrispondono circa 194.500 kmq (65% dell’intero territorio italiano). È insomma ormai evidente che la minaccia sia ben spalmata sull’intera superficie nazionale e non limitata a poche aree critiche.

La crescente alterità climatica non è l’unica responsabile del rischio idrogeologico costante, o per lo meno non ne costituisce una causa diretta, poiché il più grande nemico dell’uomo è da sempre l’uomo stesso. I più grandi deterrenti alla creazione di un’Italia pronta a proteggersi e prevenire il rischio idrogeologico, sono gli interessi economici e lucrosi provenienti dalla crescente cementificazione, la costante deforestazione e l’intervento umano spesso errato su argini e barriere naturali.

Sebbene la stima dei dati provenienti dall’analisi dei fenomeni idrogeologici del nuovo millennio non restituisca allarmanti cifre, almeno in termini di capitale umano, ciò non esclude che la frequenza di certi eventi sia aumentata. Inoltre se fino a cinquant’anni fa mancava la coscienza dei disastri di una tale portata, oggi la situazione è ben diversa: il cittadino medio è perfettamente consapevole dell’inevitabile scontro tra la natura e il suo principale interlocutore, l’uomo; cos’è allora che ci rende incapaci di prevenire un disastro ambientale, come l’esperienza di Livorno ha recentemente dimostrato?

Generalmente noi popolo del bel paese scegliamo la dimensione del “speriamo che non accada qui”, per poi rifugiarci a tragedia ultimata, in un tacito cordoglio o nella polemica politica con quell’ “eppure le istituzioni avevano il dovere di agire prima”.