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La vicenda Fnac Italia - Parte I: il quadro nazionale

Scritto da Roberto Calise Il . Inserito in Port'Alba

2013.07.03 - La vicenda Fnac Italia 1

Questa è la storia di come si possa soffocare un’azienda sana resistita alla crisi. E’ la cronaca di un suicidio assistito, studiato, condotto con il giusto mix di disattenzione ai destini individuali, mancanza di chiarezza nelle relazioni di lavoro e freddezza aziendale. In questa storia vi sono molte delle ragioni per le quali la nostra economia, sempre più malata di finanza speculativa, arranca, boccheggia, lasciando indietro singole persone, intere famiglie, stili di vita. Allo stesso tempo, questa storia dimostra come la politica, sia locale che nazionale, sia sempre più muta, assente, distratta quanto distante.

Questa è la storia sulla scomparsa di Fnac Italia, in particolare della sua sede di Napoli. E come ogni storia che si rispetti, va raccontata dall’inizio.

La Fnac è una società per azioni francese che opera nel settore delle vendite al dettaglio di libri, musica e prodotti tecnologici d’ultimo grido. Detto così sembra riduttivo, una catena come le altre. Invece, c’è una storia molto “politica” dietro la sua nascita. Fu fondata nel 1954 da due esponenti della sinistra francese: Max Théret ed André Essel. Entrambi erano antifascisti, volontari in Spagna contro Franco, trozkisti avversi all’economia liberale. Sarebbero poi stati sostenitori e finanziatori di François Mitterrand, primo presidente socialdemocratico di Francia. Fnac fu da loro immaginata come una cooperativa, che garantiva prezzi bassi agli acquirenti grazie ad un basso ricarico sui prodotti. In questo modo, si garantiva una politica salariale equa dei lavoratori puntando sul grosso smercio. In soldoni, guadagnare (o meglio, lucrare) di meno per poter guadagnare (stabilmente) tutti. Negli anni ’80, le librerie Fnac marcano un’epoca: sono difatti fra le prime a offrire contemporaneamente e in un unico luogo diversi articoli come dischi, film e prodotti elettronici (televisori, stereo, etc.). Un format vincente, che ha cambiato radicalmente il concetto base di “libreria”. Nello stesso periodo, i due fondatori, complice la loro avanzata età, vendono le quote della loro creatura, che dopo alterne vicende nel 1996 è interamente rilevata dal gruppo Kering (ex gruppo PPR), holding multinazionale francese proprietaria di marchi d’alta moda come Gucci, Yves Saint Laurent, Bottega Veneta ed altri. Sotto questa nuova gestione, la società si espande globalmente, e nel 2001 sbarca in Italia, con l’apertura di diversi megastore nel cuore delle più importanti città (Milano, Torino, Verona, Genova e, dal 2003, Napoli, in via Luca Giordano, Vomero) e in tre centri commerciali (Roma, Firenze, Torino Le Gru).

E’ difficile immaginare persone più distanti fra loro come i due fondatori di Fnac, vecchi trozkisti, e François Pinault, proprietario del gruppo Kering, capitalista di razza purissima, 34° uomo più ricco del mondo. Nonostante queste differenze, il gruppo Kering raccoglie “l’eredità morale” dei due anziani fondatori, e si fa promotore di valori come il rispetto dei lavoratori e delle regole degli stati dove si opera (vedi LINK). Sarà anche per questo che, nel settembre 2012, l’annuncio della vendita delle Fnac italiane desta tanto stupore fra i dipendenti. Perché questa scelta?

In una holding come la Kering, piena di asset a redditività altissima come sono i marchi d’alta moda, il gruppo Fnac, con i suoi utili in difficoltà a causa della crisi, rappresenta una palla al piede. La Kering decide perciò di vendere l’intero gruppo e di concentrarsi sul lusso. Ma per ricavare il massimo dalla vendita di una “pianta”, è necessario sfogliarla dai “rami” più secchi: fra questi, vi era quello italiano. Verosimilmente, al gruppo italiano non ha giovato l’apertura dei megastore nei centri commerciali: grandi metrature, numeroso personale, ma con scarsi introiti. Difatti, i punti vendita del gruppo italiano che più rendevano erano quelli nei centri città (fra cui Napoli), ossia quelli più in linea con la clientela “classica” di Fnac, soprattutto composta dalla media-alta borghesia, una fascia di popolazione disposta a spendere anche un po’ di più per un prodotto che in un negozio fuori mano potrebbe costare di meno. Un tipo di clientela anche attratta dai numerosi eventi culturali: i negozi Fnac avevano infatti un ricco calendario, fatto di presentazioni di libri, dischi, mostre fotografiche e dibattiti di vario genere. Non è quindi un caso che i megastore di Firenze, Roma e Torino Le Gru, tutti e tre situati all’interno di centri commerciali, sono stati i primi a chiudere, sotto la scure dei “ristrutturatori” del fondo d’investimento italo-svizzero Orlando Italy Management, al quale, nel novembre 2012, Fnac Italia è stata ceduta. Il gruppo Orlando, però, non ha alcuna intenzione di rilanciare la società appena acquisita. Bensì, il suo unico scopo è stato quello di ristrutturare il gruppo, tagliando i rami secchissimi, e conservando gli asset più interessanti (ossia i negozi nei centri città) per poterli poi rivendere, nel giugno 2013, al gruppo DPS, proprietario del noto marchio Trony.

Siamo ormai alle battute finali. Sfogliando i (pochi) giornali che trattano dell’argomento, si saprà che il passaggio al gruppo Trony ha subito qualche ritardo, e che da circa un mese tutti i negozi Fnac Italia sono chiusi. Certi, come quelli nei centri città (fra cui Napoli) sono in attesa di riaprire, probabilmente spogliati dei libri, dei dischi, della loro componente culturale, per diventare meri rivenditori di prodotti elettronici. Altri, come i tre negozi nei centri commerciali, sono chiusi per sempre. Nel mezzo, centinaia di lavoratori gravano sulle spalle di tutti i contribuenti poiché in cassa integrazione, in seguito a quella che è stata una mera operazione di finanza, e non di reale necessità imposta da una condizione aziendale disastrosa. Semplicemente, si cercava più redditività. E la si è perseguita a scapito dei lavoratori, che sono stati trattati in maniera ambigua, opaca, da un management (interamente francese nonostante operasse su suolo italiano) sfuggevole. Diversi scioperi si sono susseguiti in autunno, ed i lavoratori si sono anche riuniti anche in un comitato, “Salviamo Fnac” (QUI la loro pagina Facebook), che ha raccolto la solidarietà di tantissimi cantanti, attori e personaggi dello spettacolo (fra cui, il da poco compianto Don Gallo, Giovanni Allevi, Piero Pelù, Roberto Vecchioni, Fiorella Mannoia, Niccolò Fabi, Skin). Ma il vuoto lasciato dalle Fnac nei nostri centri città si associa ad una crisi generale del commercio, soprattutto di quello “culturale”, che sta mietendo numerosissime vittime nel silenzio generale della politica e di parte della cittadinanza. Un caso esemplare è quello napoletano, di cui, però, parleremo la prossima settimana.

 

La vicenda Fnac Italia, le altre puntate:

  • Parte II – Il caso napoletano (LINK)
  • Parte III - Quale futuro per lo store di Napoli? (LINK)
  • Cala il sipario su Fnac Italia, al Vomero sbarca Trony (LINK)

 

Per ulteriori informazioni sulla vicenda Fnac:

  • Sito ufficiale Fnac Italia (LINK)
  • Fnac su Wikipedia (LINK)
  • Pagina Facebook del comitato “Salviamo Fnac” (LINK)
  • Articolo de “Il Becco” a cura di Daniele Quatrano, consigliere presso la Municipalità V (Vomero-Arenella) (LINK)
  • Articolo di “Schermaglie”, testata online di cinema e spettacoli (LINK)