Il caso dei treni della metropolitana di Napoli Linea 6, spiegato bene
In questi giorni, sulle maggiori testate nazionali circola una notizia secondo la quale sulla costruenda metropolitana Linea 6 di Napoli, che nel 2019 collegherà piazzale Tecchio con piazza Municipio, non potrebbero circolare treni di nuova concezione, quindi diversi da quelli già disponibili. La notizia è diventata virale, attirando anche commenti di firme blasonate del giornalismo italiano. Tuttavia, i conti non tornano. Come stanno realmente le cose?
La notizia è il tipico caso di un problema giusto, ossia quello del completamento di una linea metropolitana ferma da anni e del relativo acquisto di nuovi treni, sollevato però in un modo errato, per una serie di semplificazioni giornalistiche che non hanno aiutato a comprendere la vicenda nel dettaglio. Andiamo, dunque, con ordine.
La Linea 6 della metropolitana di Napoli collegherà la zona ovest della città (quartiere Fuorigrotta) con il centro storico, attestandosi a piazza Municipio, prospicente il porto, dove avverrà l’interscambio con la Linea 1, creando un sistema metropolitano integrato e completo a servizio della città. A regime, sarà lunga 5,5 km e conterà otto stazioni, di cui quattro (Piazzale Tecchio, Lala, Augusto, Mergellina) sono state inaugurate nel 2007, salvo poi essere chiuse al pubblico nel 2013 per carenza di traffico passeggeri sufficiente e di personale della società di gestione, l’Azienda Napoletana Mobilità (ANM).
Attualmente, la linea non dispone di un deposito dei treni definitivo. Ve ne è solo uno temporaneo, ubicato a piazzale Tecchio. Questo spazio funge da officina e rimessa degli attuali 6 treni, che sono i vecchi mezzi ordinati ai tempi del progetto della Linea Tranviaria Rapida (il progetto elaborato per i Mondiali di Italia ‘90, e che rappresenta l’antesignano, mettiamola così, dell’attuale Linea 6), realizzati da Firema ed Ansaldo. Treni che hanno circa 30 anni e misurano 25 metri, rispetto agli standard attuali che prevedono convogli di 39 metri.
E’ bene chiarire che una linea, per operare al pieno della sua capacità, ha bisogno di un deposito definitivo, che possa fare da luogo di ricovero per una flotta ampia. Infatti, poco spazio nel deposito = pochi treni = meno margine in caso di guasti di vettori = frequenza non adatta ad una metropolitana = stazioni e treni più affollati. Corollario: treni più “corti” = meno passeggeri caricati = più passeggeri rimasti a terra in attesa del prossimo convoglio = stazioni e treni più affollati. Un’equazione micidiale per gli utenti.
Solo lo scorso 22 dicembre, il CIPE, grazie all’opera del titolare del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, il Ministro Graziano Delrio, ha sbloccato i fondi per realizzare il deposito della Linea 6 in via Campegna, nell’area dell’ex Arsenale Militare. Un progetto molto vecchio, risalente alla gestione della Regione di bassoliniana memoria, e poi bloccato, purtroppo assieme a tanti altri, con l’insediarsi nel 2010 della giunta di centrodestra, guidata da Stefano Caldoro.
A questa realizzazione, che prevede tempi lunghi, andrebbe associata con urgenza una gara per bandire l’acquisto di nuovi treni, adatti ad una linea che, in futuro, si preveda possa toccare gli oltre 100.000 passeggeri al giorno. Un’ipotesi di nuovi treni sono quelli consegnati da Hitachi Rail Italy alla metropolitana di Genova: una linea che, per una serie di caratteristiche tecniche, si può considerare “gemella” di quella napoletana (maggiori info sui nuovi treni genovesi cliccando qui).
Bandire una gara per acquistare i treni è un processo lungo e complesso: vi sono tempi di aggiudicazione, gli eventuali ricorsi da discutere, e poi i fisiologici tempi di consegna dei mezzi. Non è una questione che si chiude in pochi giorni, come gli utenti della Linea 1 ben sanno: solo il 9 novembre 2017 il Comune di Napoli ha firmato, dopo oltre due anni (il bando era del 31 agosto 2015), il contratto per i nuovi treni su questa tratta, che dunque non entreranno in servizio prima di metà 2019.
Dunque, ci sono due aspetti da considerare sulla vicenda della Linea 6: da un lato, il completamento delle infrastrutture a servizio della linea (come il deposito, oltre ai necessari tronchini di manovra); dall’altro, l’acquisto di nuovi treni, che non avrebbero alcun problema né a circolare nei tunnel, né ad essere calati nel deposito temporaneo di piazzale Tecchio, a differenza di quanto erroneamente è stato scritto.
Infatti, tale deposito temporaneo ha un tetto rimovibile, attraverso il quale vengono sollevati/calati i treni nel caso necessitino di operazioni di manutenzione più importanti, e che quindi non possono essere effettuate in una struttura precaria. Il diametro di tale tetto è inferiore ai 30 metri: da qui la polemica sul non poter far transitare treni di nuova concezione (lunghi 39 metri), che risulta infondata in quanto i treni possono essere smontati, calati e poi assemblati in sotterranea.
Come si è visto, il problema non è far arrivare nel deposito temporaneo treni nuovi da 39 metri, anche se rappresenta un’operazione molto complessa ed onerosa. Bensì, il tema vero è che non vi sarebbe neanche lo spazio per ospitare nel deposito attuale il numero sufficiente di vetture per operare un servizio decente, stimato in circa 15 treni contro gli attuali 6 disponibili, come correttamente riportato da La Repubblica.
Dunque, quando nel 2019 la Linea 6 aprirà nella sua interezza, il quadro è quello che prospetta Maurizio Manfellotto, amministratore delegato di Hitachi Rail Italy, in un’intervista a QdN di un anno fa: “treni affollatissimi, corse saltate, servizio a singhiozzo”. Hitachi Rail Italy, ossia l’ex AnsaldoBreda, è l’azienda che ha realizzato gli unici treni ora a disposizione sulla Linea 6. Una voce, dunque, qualificata.
Infine, un tema tutt’altro che marginale: anche se vi fossero treni nuovi e deposito, non vi sarebbe il personale ANM per mettere in funzione la linea, nonché le risorse economiche per effettuare il servizio da parte di un'azienda che ha richiesto il concordato preventivo, essendo sull'orlo del fallimento. La ciliegina sulla torta è che riattivare le stazioni attualmente complete, ma chiuse al traffico dal 2013 (Piazzale Tecchio, Lala, Augusto, Mergellina), ha un costo: gli impianti deperiscono, gli intonaci si staccano, e così via. Uno sforzo economico notevole, considerato che queste versano nell’incuria, come un drammatico reportage de La Repubblica ha mostrato: basti pensare che qualche giorno fa l’ingresso della stazione Lala ha preso fuoco per opera di ignoti, nel silenzio più totale di giornali e Comune.
Il quale, inutile dirlo, su tutti i temi sopra elencati è stato colpevolmente assente per anni, arrivando tardi a porsi problemi che ora sono agli onori della cronaca, e scaricando il tema sulle amministrazioni precedenti, nonostante l’attuale giunta sia in carica da ben sette anni. Palazzo San Giacomo è assente/in ritardo anche sull’altro grande tema che caratterizza il futuro non solo della Linea 6, ma dell’intera città: il prolungamento verso Bagnoli, il cui progetto definitivo esiste dal 2009, commissionato e già pagato dallo stesso Comune (all’epoca a guida Iervolino) e che giace in un cassetto. Una grande incognita che attende finalmente di essere svelata, affinché la Bagnoli di domani non resti bella ma irraggiungibile.
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