Lo scippo - racconto di Ernesto Nocera (pt 3)
Entrarono in un bar elegante lei accettò un caffè ma lungo. Lui fece altrettanto. Seduti ad un tavolino cominciarono a chiacchierare mentre lei controllava il contenuto della borsa. Ovviamente non mancava niente.
Però ha avuto un bel coraggio- disse Elena ammirata- di solito quei delinquenti hanno reazioni violente.
Ma io mi so difendere- disse Gennaro – faccio regolarmente sport. Lei, Elena, cosa fa?
- Studio Lettere all’Università. – Sto per laurearmi. E lei?
Qui veniva il difficile!
Gennaro rispose, memore dei suoi trascorsi scolastici: Sono ragioniere e curo i rapporti di un paio di aziende con le amministrazioni pubbliche. Partecipazioni a gare con tutti gli annessi e connessi. A proposito, io ho 24 anni e lei?
Io 23 –rispose lei con garbo
Elena –replicò Gennaro- Siamo entrambi giovani. Cosa ne dice di togliere questo LEI di mezzo?
D’accordo- Elena rispose.
Gennaro proseguì: Mi sarebbe piaciuto andare all’Università ma non volevo restare più a carico dei miei. Così mi sono trovato un lavoro per essere indipendente, trovarmi un appartamentino per vivere la mia vita e togliermi dalla spalle di mio padre.-
-Davvero?- disse lei- Non è normale quello che fai. Quasi tutti i nostri coetanei preferiscono restare in famiglia.
Io no-rispose Gennaro - Voglio la mia libertà e perciò anche se voglio bene ai miei, ho deciso di vivere da solo. Tu piuttosto perché non mi racconti dei tuoi studi? Di che cosa trattano.
-Io sono appassionata di lettere antiche e vorrei fare l’archeologa.
-Quelli che vanno a fare gli scavi come a Pompei? –domandò Gennaro sorridendo.
-Esattamente- disse Elena. In Italia ci sono molti siti archeologici ed abbiamo una solida tradizione in materia. Spesso all’estero chiedono la nostra consulenza. Dopo la laurea andrò a fare uno stage in America con la professoressa Joan Breton Connelly che è famosa nel campo e dà molta attenzione al ruolo della donna nell’antichità.
-Starai lontana tutto l’anno?
- No. Verrò a casa di tanto in tanto.
- Elena, posso chiamarti qualche volta?
-Perché no?
Si scambiarono i numeri dei cellulari e si salutarono. Promettendosi di risentirsi.
Gennaro uscì da quell’incontro col cuore pieno di una sconosciuta tenerezza. Era però un ragazzo intelligente. Capì che molto difficilmente quel suo amore, quel suo desiderio, quella sua passione si sarebbero realizzati e consolidati.
Non rinunciò a costruire la speranza. Si attivò subito per trovare un appartamentino nella zona di via dei Mille per poter fornire un indirizzo pulito, lontano dal suo abituale ambiente. Lo trovò e lo arredò in maniera graziosa.
Viveva però la contraddizione della sua vita. I suoi soldi venivano dagli scippi, intensificati dalla necessità di avere più soldi a disposizione.
Continuò a vivere con sua madre ed i suoi fratelli ma di tanto in tanto andava a casa sua e rifletteva in solitudine. Pensava alla sua vita nata sbagliata in un ambiente degradato di cui non riusciva a liberarsi. Gli pesava quella catena che non riusciva a rompere. Fantasticava su come sarebbe stato bello aver avuto una vita regolare: la scuola, l’Università, un lavoro dignitoso e poter dire ad Elena: Eccomi, voglio essere tuo, voglio vivere con te, amore mio!
Sapeva che queste frasi non avrebbe potuto mai dirle. Era giovane però, e si affidava alla vita. Tutto può succedere a 24 anni. In fondo al suo cuore sapeva però che erano solo sogni. Difficilmente realizzabili.
Nessuno nella vita è veramente libero. Se sei nato sui Quartieri, figlio di uno scippatore o di un piccolo delinquente sei in una gabbia sociale da cui sarà difficile evadere. Sono rarissimi gli esempi di possibili liberazioni avvenute risalendo la scala sociale.
Nel suo ambiente l’unica via di successo era quella di aumentare il suo livello di criminalità conquistandosi i gradi di boss ammazzando qualcuno e subentrandogli nel ruolo. Sapeva anche però che in quelle condizioni sarebbe vissuto poco perché, a sua volta, sarebbe abbattuto da qualche giovane rampante aspirante boss.
Aveva, una volta, sentito un giovane boss emergente dire: Gennà lo so che morirò sparato a 40 anni ma voglio vivere così. Meglio una esistenza bruciata che l’esistenza miserabile dei miei.
Una visione cinica ma sconsolata. L’accettazione di un destino come inevitabile conclusione di una vita bruciata.
Il dramma vero di Napoli è questo. Giovani dalla vita senza speranza,consumati nella spirale della criminalità, destinati a morti tragiche. Spesso, come Gennaro, di vivace intelligenza. Un patrimonio sociale criminalmente dissipato.
Non poteva darsi pace.
Intanto a casa sua nasceva un dramma.
Sua madre capiva che qualcosa tormentava suo figlio. Non osava chiedergli perché fosse cambiato. Lo vedeva rinchiudersi nella sua stanza ed a volte sparire per qualche giorno, quando decideva di restare solo nel suo mini –appartamento di cui a sua madre non aveva mai parlato.
La madre, da donna del popolo, immaginò che a suo figlio avessero fatto una “fattura” che glielo aveva reso estraneo.
Lo sorvegliò con attenzione. Una volta, aperta all’improvviso la porta della sua camera lo trovò assorto con aria sognante con una di quelle famose lettere in mano. Si ritirò ma capì che quella era la “fattura”.
Doveva provvedere.
Gennaro aveva deciso di portare le lettere a casa sua ma non si decideva.
La madre sorvegliava quella porta con assiduità. Un giorno profittando di una distrazione del figlio, si impadronì di una di esse e corse da donna Mariannina, fattucchiera, indovina e dispensatrice di consigli.
Le mostrò la lettera e la fattucchiera le disse: Lucì,ma quale fattura ! ‘O vuaglione s’è annammurato ‘e chesta femmena ca ha scritto ‘sti lettere ma no a isso. Passerà sta tranquilla. Gennarino è ‘nu buono vuaglione e se sonna l’ammore ‘e chesta vuagliona. Purtroppo non ci riuscirà. Sarà per lui un grande dolore. Stalle vicino quanno succere. Tanno sì i ha fa a mamma overo. ‘A figlieto ‘o salve sulo tu! 1
Lucia piangendo corse a casa, rimise la lettera a posto e da quel giorno cominciò a guardare a suo figlio con più attenzione ed affetto.
Se lo guardava dicendo: Ma che bellu vuaglione ca tengo! Pecché a da essere infelice? C’ha fatto’e male, poveru figlio mio?
Sapeva però che poteva solo assistere al tormento di Gennaro e sperare che la Natura o la Vita risolvessero il problema.
3
Giunse il 18 agosto: Sant’Elena. Gennaro non ebbe il coraggio di mandare rose rosse. Mandò un ascio di orchidee con un bigliettino di auguri.
Quei fiori misero in allarme la famiglia della ragazza..
Chi sarà mai questo nuovo misterioso ammiratore?
Elena spiegò tutto: lo scippo, l’incontro, la presentazione. Disse ai suoi che si trattava di un bel ragazzo perbene che si era tenuto nei limiti di una rispettosa e civile cortesia.
C’erano in queste parole un calore, una simpatia verso lo sconosciuto che allarmarono ancora di più i suoi genitori.
Quale avventura si accingeva a vivere la loro unica, preziosa figlia?
La mamma fece notare che era difficile che accadesse qualcosa di serio in tre o quattro mesi visto che Elena sarebbe partita per gli USA per lo stage con la professoressa Breton Connelly e che sarebbe stata lontana un anno.
Se il ragazzo l’avesse aspettata allora la cosa sarebbe diventata seria. Avrebbero provveduto a sapere qualcosa in più su di lui e la sua famiglia.
Elena fu felice. Gli telefonò per ringraziarlo. Gennaro si schernì. Disse che era solo un piccolo pensiero.
Con l’infittirsi dei rapporti il linguaggio cominciava a diventare un problema. L’italiano di Elena, dolcemente dialettale, come avviene nei ceti alti cittadini era all’orecchio di Gennaro molto diverso dal suo napoletano che tentava di diventare italiano. Nello sforzo di controllarsi gli riusciva difficile essere spontaneo. Si mise ad ascoltare con attenzione la TV cercando di capire quali fossero i difetti del suo italiano. Aveva il terrore dei verbi. Mai avrebbe voluto che Elena si accorgesse delle sue deficienze. Perciò preferiva che nei loro brevi incontri parlasse lei. Elena parlava con piacere dei suoi studi e Gennaro mascherava la sua ignoranza letteraria dietro i suoi studi di ragioneria.
Mi piace ciò che mi dici e mi racconti- disse una volta Gennaro- Anche se qualcosa me la devi spiegare. Siamo pari però perché se io ti parlassi di partita doppia, ammesso che ti interessi, dovrei darti più spiegazioni di quelle che tu dai a me.
Non c’è pericolo –disse sorridendo lei- io con i numeri ho litigato a morte. Non ti chiederò mai niente!
In tutti gli incontri Gennaro notò che lei non accennava mai alla sua storia con Aldo.
Purtroppo Gennaro doveva sopravvivere. Perciò ogni tanto si assentava per due o tre giorni “per lavoro”.
Voleva trovare una via d’uscita. Non ci riusciva. E’ difficile fuggire dalla propria gabbia sociale. La ghiandaia riesce a vivere solo nei boschi di querce. Così il nostro Gennaro. Ogni battuta di “caccia” finiva sempre con un senso di insoddisfazione. Più seguiva quella strada, più Elena sarebbe diventata irraggiungibile.
Un’attività commerciale? E quale? Ma poi Gennaro sapeva bene che solo quello che non si fa non si sa. Perciò cercava di essere cauto. Almeno per non incorrere in inopportuni arresti. Elena non aveva la selvaggia, feroce esperienza di vita di Gennaro e perciò non si accorgeva della differenze. Vedeva solo un bel ragazzo moro e gentile, dai modi un po’ rustici, innamorato di lei. Questo lo aveva capito bene. Quale donna non si accorge di essere oggetto di un amore? Quale donna non legge negli occhi dell’uomo innamorato di lei la forza di quell’amore? Può decidere di non accettare ma sa di essere amata.