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Lo scippo - racconto di Ernesto Nocera (pt 4)

Scritto da Ernesto Nocera Il . Inserito in Letteratura

NOCERA RACCONTO

La città alla fine di agosto è semi vuota. La sera, sul tardi, le strade prendono un aspetto più intimo. Specie quelle panoramiche - Gennaro, nato e vissuto negli stretti vicoli dei Quartieri, veri canyons urbani, coloriti e vocianti giorno e notte, amava le belle strade panoramiche di Napoli. Quelle che affacciano sul Golfo.

Il nero velluto del mare, tagliato di sbieco dalla luminosa, argentea lama dei raggi lunari, assumeva un aspetto magico.

La luna piena nascondeva le stelle ma le mille luci del Golfo, della Penisola sorrentina, della lontana Capri che, nelle notti senza foschie, sembravano a portata di mano, davano al panorama una atmosfera di olimpica serenità. Dietro quelle serene luci pulsava una vita a volte violenta e feroce come la sua.

Quella illusoria serenità di sogno, faceva però bene all’anima. Ispirava pensieri puri.

Prese il coraggio a due mani e disse: Elena posso invitarti a cena stasera? Scegli tu il ristorante che ti piace. Io preferirei qualcosa di panoramico. Vengo a prenderti con la mia Smart.

-Una bella idea, Gennaro. Ne conosco uno carino a Posillipo dove a volte vado con i miei. Ci vediamo alle otto sotto casa mia. Sta bene?

-Benissimo. Alle otto allora.

Si salutarono con una stretta di mano e si separarono.

Subito, di corsa a casa. Doccia, shampoo, barba, dopobarba, deodorante. Una goccia di profumo maschile.. Mise un abito nuovo, di lino sul blu, la camicia adatta che gli aveva consigliato Cilento 1. Mise persino la cravatta che accompagnava camicia ed abito mise un paio di calzini leggeri blu, tirò fuori dall’ armadio un paio di mocassini, eleganti comprati da Campanile e si guardò allo specchio. Vide un bel ragazzo bruno da neri capelli ondulati e il volto segnato dalla sfumatura bluastra della fitta barba che gli dava un aspetto virile.

La mamma entrò e lo vide allo specchio. Che bel figlio! Si avvicinò, stese il braccio e gli carezzò lievemente il viso. Quella carezza destò nel cuore di Gennaro un impeto di affetto. Abbracciò sua madre in silenzio. Lei se ne stette muta in quell’abbraccio pensando: Stasera ho perso mio figlio. Non è più mio. E’ già della donna che ama..

Stettero un po’ così ,poi si separarono e finalmente lei ebbe il coraggio di dirgli: Stai proprio bene. Non ti preoccupare, andrà tutto bene,

- Mammà che dici? –

- Dico che la ragazza che incontrerai –perché c’è una ragazza vero? - si innamorerà – Sei troppo bello.

Gennaro, per l’emozione la riabbracciò, pensando: Volesse la Madonna che fosse vero.

Uscì cercando di essere disinvolto. Quando uscì gli amici del vicolo lo presero in giro: Che ci fai in alta uniforme? Sei di matrimonio?

Gennaro sorrise e non rispose. Montò in macchina e partì.

La serata cominciò bene. Il,ristorante era quello giusto. Con una terrazza panoramica che affacciava sul Golfo. Luce soffusa e un’atmosfera elegante e discreta. Tutti parlavano a voce bassa e quel brusìo dava più intimità al,locale.

Cosa desideri, Elena?

Qua cucinano bene il pesce. Facciamoci consigliare.

Chiamarono il capo sala che si avvicinò con professionale cortesia:

- Desiderano?

- Cosa ci consiglia? Vorremmo mangiare del pesce.

- Vadano al banco del pesce e scelgano. Qui è sempre fresco perché abbiamo un peschereccio che lavora solo per noi..

Andarono al banco dei pesci e videro al centro una bella spigola di mare con tutti i brillanti colori della sua livrea naturale.

Quella va bene

Sta bene. Si fidi di me

Mentre aspettavano si fecero portare un aperitivo e cominciarono a chiacchierare. Per evitare domande imbarazzanti Gennaro spostò il discorso sul prossimo viaggio de Elena. Lei si infervorò. Gli spiegò cosa si aspettava da quella esperienza. Desiderava entrare in una èquipe internazionale e partecipare a qualche campagna di scavo sotto la guida della professoressa. Magari sui nuovi campi di scavo in Mesopotamia.

Gennaro la guardava affascinato. Il suo entusiasmo che le faceva arrossare lievemente le gote ne accresceva il fascino e lo commoveva. Perché lui non poteva avere una vita così? Pulita e piena di speranze? Quella tranquilla serata gli stava piacendo proprio. Il ristorante aveva un piccolo giardino sottostante con una balconata che dava direttamente sul Golfo. Uscirono per fumare una sigaretta. Scesero i pochi gradini e andarono direttamente alla balconata aggettante sospesa sul golfo. C’era la luna piena. La notte era dolce e senza vento. Il Golfo splendeva della sua bellezza Al largo, illuminati a giorno, passavano i vaporetti per le isole mentre una gigantesca nave da crociera prendeva il largo in una fantasmagoria di luci. Davanti al Castel dell’Ovo brillavano nella notte le luci di posizione dei mercantili in controstallia.

Si appoggiarono alla ringhiera e stettero vicini, così, fianco a fianco. Tacevano e sembravano immersi nel seguire il fumo delle sigarette. Era un silenzio strano. Denso di attese. Gennaro si fece coraggio e le appoggiò un braccio sulle spalle, lievemente. Sentendo quella live pressione Elena si girò e lo guardò dritto negli occhi con uno sguardo intenso che sembrava chiedere aiuto. Lui vide quello sguardo, ne lesse la muta domanda e le mise un braccio alla vita e la strinse a sé, lei gli mise le braccia al collo e lo guardò. C’era la luna, erano giovani, la notte odorava di gelsomini. Che potevano fare? Si baciarono, così senza imbarazzo come se quell’atto fosse la naturale conclusione della serata. Gennaro, nel sentire il sapore delle morbide labbra di Elena sulle sue, si sentì morire. Desiderò che la sua vita finisse in quel momento. Incoraggiato dal bacio la strinse a sé con più energia. e successe un fatto che lo sorprese.

Lei gli appoggiò la testa sulla spalla e cominciò a piangere. Piano senza singhiozzi. Lui le prese il mento con dolcezza e disse: Che hai? Da dove viene questo dolore? Lei, quasi sussurrando, gli raccontò di Aldo, del suo amore tradito per vigliaccheria, delle notti insonni per lo strazio. Gennaro sentì in fondo al cuore lo stesso strazio. Le prese il volto fra le mani e le sussurrò: Io non ti tradirò MAI! Sei la donna che sogno da una vita e non ti lascerò se mi accetti.

Lei, ancora con gli occhi umidi, gli carezzò il volto e lasciò che lui la baciasse ancora. Restarono così, abbracciati, come sospesi in un sogno. E’ bello innamorarsi a vent’anni – E’il momento giusto per un amore Lei si ricordò di una poesia che aveva sentito da qualche parte:

L’ammore è bello

quanno nasce

Quanno te trase

chiano rint’’e vvene

Non ne ricordava il resto ma quei semplici versi descrivevano bene il suo stato d’animo.

L’accompagnò a casa e la salutò sul portone senza baciarla. Le sussurrò soltanto: Ti chiamo domani.

Tornando a casa gli sembrava di camminare sulle nuvole. Quando arrivò, corse in cucina e abbracciò sua madre. Lei lo guardò, capì ma gli disse.:Vuè ! Comme maie?

- Mammà, te voglio bbene. E sò felice . La madre sorrise e gli disse :’E visto ca avevo ragiona ?

- E che, mammà?

- Comme ‘e che ? D’ a vuagliona ca se ‘nnammurata e te. Gennaro se ‘mparpagliò.

- E tu che ne sai?

Eh - disse lei - ‘O figlio muto ‘a mamma ‘o ‘ntenne

Lui sorrise: Mammà hai proprio ragione

Cominciarono a vedersi più spesso. Sempre di sera. Sceglievano uno dei tanti bar eleganti della zona, si trovavano un angolo riservato e restavano a chiacchierare tenendosi le mani sopra il tavolino. Era un atteggiamento così romantico che i clienti guardandoli sorridevano di simpatia.

A Gennaro quello che aveva bastava a renderlo felice. Non andava oltre un bacio o una carezza. Lui non avrebbe mai preso l’iniziativa. Doveva essere lei a decidere. Questo era il suo pensiero.

Una sera che stavano dalle parti del suo appartamentino lei gli disse: Perché non mi fai vedere casa tua ?

- Elena, è una cosa modesta pensata per uno scapolo. L’unica cosa bella è che è panoramica Se ti fa piacere perché no?

Si avviarono. Lui parcheggiò a poca distanza dal portone. Il palazzo sim presentava bene. Che lo salutò: Buona sera : Buona sera signor Acampora. Gennaro rispose con un rapido cenno del capo e, tenendo Elena per un braccio si avviò verso l’ascensore. Terzo piano. Gennaro aprì e si fece da parte per farla entrare.

La casa era sempre perfetta perché aveva una donna che gliela teneva in ordine. Una grande stanza dai chiari colori. Con un bel balcone. Mobilio essenziale. un comodo letto, un armadio, qualche sedia. Una poltrona davanti a un bel televisore., una bella stanza da bagno ed una cucina con un tavolo. Poco usata a giudicare dall’aspetto

- E’ proprio carino qui disse lei

- Ti va un po’di musica? Scegli tu.

Non c’erano molti dischi. qualche melodia, quelle canzoni in inglese che conoscono tutti. Ne trovò uno intrigante : Cèline Dion che cantava. The first time ever I saw your face. Le sembrò adatto. Lo mise a basso volume e la voce di Cèline riempì il silenzio della stanza, Elena si sedette sul letto e lo guardò. Lui le sedette accanto. Lei si girò e, abbracciandolo, lo baciò. Si trovarono a fare quasi senza accorgersene. Si salutarono così amore quasi senza accorgersene. Restarono così, abbracciati a lungo. Lei gli sussurrò: Accompagnami a casa. In macchina gli tenne la testa sulle palle. Arrivati a destinazione lui le prese le mani e le baciò- Si salutarono così. Gennaro tornò al suo appartamentino. Voleva dormire in QUEL letto in cui la vita gli aveva dato più di quanto avesse mai sperato di avere.

C’era ancora il profumo di lei fra le lenzuola. Si addormentò finalmente in pace con la vita.

I tre mesi passarono in fretta. Il giorno della partenza la accompagnò a Capodichino. Prima di passare i cancelli d’ingresso lei si girò per un ultimo saluto.

Si erano promessi di sentirsi e vedersi ogni sera su Skype. Nove ore di differenza sono tante. Perciò lui ogni mattina alle sette era davanti al computer in attesa della chiamata.

La sua vita era l’ attesa di quel segnale.

Più giorni passavano più si rendeva conto che non poteva andare avanti così. Aveva bisogno di confidarsi con qualcuno. C’era in città un sacerdote impegnato a contrastare la camorra con la cultura. Accoglieva i ragazzini di strada e li impegnava in attività artistiche come imparare uno strumento e abituarsi a suonare insieme. Andò a trovarlo e gli chiese di confessarlo. -Il sacerdote guardandolo vide il dolore del ragazzo. Lo portò in sagrestia e, mandati via i chierichetti che si attardavano chiuse la porta.

Lo fece sedere accanto a sé e gli disse : Cosa c’è ragazzo? Finalmente Gennaro poté confidare i suoi dubbi, le sue preoccupazioni, il suo amore. Il sacerdote si commosse sentendo l’intensità di quella passione e gli disse: Se vuoi salvarti e salvare il tuo amore niente più atti criminali. Vieni qui sempre e qualcosa faremo. Non ti preoccupare. Vattene in pace. Gennaro si alzò e voleva baciargli le mani ma il sacerdote lo allontanò con dolcezza.

Vieni domani alle cinque. Mi raccomando. Parlerò con qualche amico importante. Non ti preoccupare.

Gennaro uscì dalla chiesa più sereno. Gli avevano aperto una prospettiva di salvezza. Perso in questi pensieri non vide la grossa moto

che arrivava con due ragazzi a bordo coperti da caschi integrali. Sobbalzò ai primi spari e mentre cercava di mettersi in salvo vide la vita sparirgli davanti agli occhi.

Si risvegliò in un letto di ospedale con sua madre in lacrime che gli teneva la mano.

- Mammà - sussurrò - Non te ne andare. Non voglio morire proprio ora.

Ma che dici, bello di mamma sua. Che dici!

- Mammà, tienimi la mano. Ho paura. Non te ne andare

-Non ti preoccupare figlio mio. Non ti lascio –

Lo portarono in terapia d’urgenza cercando di rianimarlo Aveva in corpo tre pallottole. Una alle gambe e due al torace che gli avevano procurato una seria emorragia. Morì dopo due giorni di agonia. Al suo funerale partecipò tutto il quartiere commosso dalla tragedia e dal dolore di Lucia, la mamma.

Epilogo

Elena cominciò a preoccuparsi quando per due o tre giorni nessuno rispose alla chiamata. Provò col cellulare. Sempre senza risposta.

Si tormentava. Cosa sarà successo? Starà male? Mi ha lasciata come Aldo ? Non può essere. E’ troppo innamorato lo sento. Dopo dieci giorni di tormento si decise a tornare in Italia, voleva capire.

Giunta a Napoli corse a casa di Gennaro. Il portiere le disse che Gennaro non si vedeva da una quindicina di giorni.

- Sapete dove posso trovarlo?

- Non lo so. Forse lo sa Carmela, la donna che viene per le pulizie. Mandarono a chiamarla. Lei venne subito e anche lei espresse qualche preoccupazione per un’assenza così prolungata. Disse anche che le aveva lasciato un indirizzo dove cercarlo in caso di emergenza. Elena lo annotò. Si fece chiamare un tassì e andò via. All’indirizzo corrispondeva un solenne portone nobiliare in pessime condizioni. Lei si guardò intorno. Non era mai stata in quei luoghi. Nemmeno aveva mai sospettato che a un chilometro in linea d’aria da casa sua ci fosse quell’inferno. Come chiese di Gennaro Acampora fu colpita dalla reazione della gente. Tutti i presenti ebbero un moto di dolore a sentire quel nome-

- Signorina – disse un’anziana donna - La madre abita al secondo piano. Parlate con lei

Lei salì, trovò la porta e bussò. Venne ad aprire una donna sui cinquanta con ancora le tracce di una perduta bellezza, vestita a lutto che la guardò sorpresa e poi le disse.

Entrate signorina. Lo so chi siete. Voi siete Elena, la ragazza di mio figlio e scoppiando in lacrime aggiunse –Ce l’hanno ammazzato ‘sti delinquenti, innocente come Gesù bambino.-

Elena restò un attimo sospesa. Quando quelle parole : Ce l’hanno ammazzato –giunsero alla sua coscienza svenne. Si ritrovò sul letto circondata da donne che la rianimavano.. Sbarrò gli occhi e diede un grido. Disperato, animalesco. Lucia le prese le mani e le disse : E’ morto chiamandovi.. ‘ E’morto dicendo : Elena,Elena.

Il dolore le faceva l’anima a brandelli. Si sentiva fuori di sé. Si guardava intorno con gli occhi sbarrati e le mani nei capelli ripetendo come un automa. No, No, No

Chi conosce i napoletani sa che quel dolore divenne il dolore di tutte le donne presenti. Quella naturale condivisione di un dolore che era diventato collettivo, quella condivisione non ne allentava il peso. Lo accresceva.

. Che faccio adesso? Che faccio? Come vivrò.?

Tutte le donne la guardavano con occhi di dolor, Sussurravano:

Povera criatura! sa comme se sente mò? Ma quanto è bella e fina. Ha da essere ‘na signora overo.

Elena stette fra le braccia di Lucia fino a sera piangendo insieme tutte le loro lacrime

Elena, se volete restare qui mi fa piacere. Potreste dormire nella sua stanza,Questa è casa vostra.

Signora Lucia la ringrazio ma debbo tornare a casa i miei si preoccuperebbero non vedendomi tornare.

Elena venite tutte le volte che volete. Parleremo di lui, di quanto vi voleva bene Diceva che non si aspettava dalla vita un regalo così bello che lo rendeva felice. Parlava di voi e gli ridevano gli occhi. Era tormentato dalla coscienza della differenza fra voi e lui. Voleva superarla, Voleva essere degno di voi, Voleva fare in modo che la vostra famigli lo accettasse. Si era persino accordato con un professore per diplomarsi e iscriversi all’Università. Era felice e pazzo di voi. E me l’hanno acciso. Ma Dio addò steva mentre accidevano ‘o figlio mio? Addò steva?4

Ricominciarono a piangere.

Si era fatta sera. e Lucia le disse. Vi faccio accompagnare da Rosaria, la sorella di Gennaro. E’ giovane pur’essa e ve putite capì.

Le due ragazze uscirono. Lucia si affacciò al balcone e le seguì con lo sguardo fino all’angolo del vicolo. Le due ragazze camminavano abbracciate. Quando sparirono dalla sua vista, Lucia res pensierosa stringendo fra le mani un fazzoletto mentre il vicolo si faceva sempre più buio e si accendevano i primi fanali.

Le campane della Chiesa della Concordia cominciavano a chiamare per le funzioni serali. A quel suono familiare e antico Lucia si riscosse e rientrò. L’attendeva un’altra notte di disperato dolore.