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Il ritorno di Renato Carpentieri a teatro per “Le braci” di Sándor Márai

Scritto da Roberto Calise Il . Inserito in Teatro

2018.02.15 Il ritorno di Renato Carpentieri a teatro per Le braci di Sandor Marai

Due uomini, ormai anziani, si rivedono dopo lungo tempo. Faccia a faccia, cominciano a ripercorrere gli anni della gioventù, dell’amore, della guerra, con un segreto che, come un’ombra, si allunga su entrambi. E’ questa, in estrema sintesi, la trama de “Le braci”, capolavoro dello scrittore ungherese Sándor Márai, che, adattato per il teatro da Fulvio Calise e con la regia Laura Angiulli, segna il ritorno sulle scene di Renato Carpentieri, coadiuvato da Stefano Jotti, in scena da venerdì 16 a domenica 25 febbraio alla Galleria Toledo, in via Concezione a Montecalvario 34.

A 100 anni esatti dalla fine della Prima Guerra Mondiale, l’Europa sembra nuovamente vivere un periodo di transizione: per dirla con le parole di Antonio Gramsci, “il vecchio mondo sta morendo, quello nuovo tarda a comparire, ed in questo chiaroscuro nascono i mostri”. Con i dovuti distinguo, il senso di decadimento di quanto è stato prima, e l’incertezza per quel che sarà dopo, sottende a tutto il testo de “Le braci”, opera del 1942 ambientata fra le due Guerre Mondiali.

Henrik, anziano generale dell’esercito austro-ungarico, attende per una cena nel suo castello immerso nelle montagne dei Carpazi un vecchio amico e commilitone, Konrad, fuggito ai tropici da disertore quarant’anni prima. Il mondo che li ha visti crescere assieme, quello del più vasto impero dell’Europa Continentale, è ormai un ricordo, crollato sotto i colpi della prima, grande guerra dell’epoca moderna. Henrik, interpetato da Renato Carpentieri, è un po’ più anziano dell’amico Konrad, che sul palco ha le sembianze di Stefano Jotti. Se il primo è di nobile lignaggio, figlio di un alto ufficiale e come tale allevato, il secondo viene da una modesta famiglia di funzionari governativi, per i quali la carriera nell’esercito rappresentava un salto di qualità sociale ed economica. Nonostante tali differenze, l’accademia militare unirà entrambi in una solida amicizia, destinata però a svanire sotto i colpi della sorte, la cui conseguenza sarà la diserzione di Konrad, e l’auto-esilio in Carpazia di Henrik.

Per chi è amante della letteratura mitteleuropea del Novecento, l’aria di decadenza e di conclusione di un ciclo storico-politico che aleggia ne “Le braci” richiamerà il più celebre “La cripta dei cappuccini” di Joseph Roth, pubblicato nel 1938. Sullo sfondo del crollo dell’Impero Austro-Ungarico, del resto, si è consumata la fine di un’intera classe politica, economica e militare, con conseguenti storie personali. Il testo di Márai osserva quel periodo dall’angolazione di una forte amicizia, un sentimento che, nei pensieri dello scrittore ungherese, travalica l’amore, la famiglia, la guerra, la provenienza sociale. Il discorso, dunque, si amplia, facendo de “Le braci” una sorta di compendio dei grandi temi della vita di un uomo, quali quelli appena citati.

Mettere in scena un testo così dialogico è operazione complessa. I protagonisti sono principalmente due, la scena è ferma, quasi a sottolineare un mondo ormai spento. Sono i ricordi a farla da padrone, con le relative riflessioni. Tuttavia, numerosi sono stati i tentativi di trasposizione teatrale, come quello dell’attore Premio Oscar Jeremy Irons, con un monologo andato in scena a Londra nel 2006, o l’opera lirica firmata da Marco Tutino, uno dei maggiori compositori contemporanei, rappresentata nel 2014 a Budapest ed approdata anche al Maggio Musicale Fiorentino.

In questa chiave, l’operazione napoletana trova un suo originale posizionamento, distaccandosi dai precedenti tentativi, e cercando la maggiore attinenza possibile al testo. Una sfida, quella della trasposizione teatrale, affrontata da un autore d’eccezione, in quanto estraneo per professione ai palcoscenici, vale a dire Fulvio Calise, nome storico della chirurgia epatobiliare campana. Attorno a questa coraggiosa quanto meritoria operazione, si è formata una squadra d’eccezione, con Renato Carpentieri, attore di punta della scuola napoletana, e Stefano Jotti, parmense ma ormai partenopeo d’adozione, diretti dalla regista Laura Angiulli e dal suo giovane aiuto, la romana Serena Sansoni.

Napoli, del resto, ha un legame con Márai: qui lo scrittore ungherese, naturalizzato statunitense, ha vissuto dal 1950 al 1957. Un soggiorno di cui resta tangibile traccia grazie al romanzo “Il sangue di San Gennaro”, del 1965. Sándor tornerà in Campania, trasferendosi a Salerno dal 1968 al 1980, prima di suicidarsi, ormai anziano e vedovo, nel 1989, a pochi mesi dal crollo del Muro di Berlino e di quel blocco sovietico che, nel 1948, lo aveva costretto ad abbandonare la sua amata Ungheria. In un certo qual modo, “Le braci” può essere considerato un piccolo omaggio di una città accogliente ad un eterno quanto tormentato esule, icona di un mondo ormai scomparso, sullo sfondo di fantasmi che, si spera, l’Europa non vedrà mai più.

 

Da venerdì 16 a domenica 25 febbraio 2018
Le braci di Sándor Márai
Con Renato Carpentieri e Stefano Jotti
Adattamento: Fulvio Calise / Regia: Laura Angiulli / Aiuto regia: Serena Sansoni
Teatro Galleria Toledo, via Concezione a Montecalvario 34, Napoli

 

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