Intervista a Luca Bellino e Silvia Luzi
Mercoledì 11 aprile dalle 11.00 alle 12.00, durante il programma radiofonico “Buona La Prima”, che conduco per RunRadio, la webradio dell’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli, ho avuto l’opportunità di intervistare Luca Bellino e Silvia Luzi, registi del film “Il Cratere”, dal 12 aprile nelle sale.
Partiamo dal titolo: “Il Cratere”. Evoca un’immagine che rimanda a una profondità, forse a un vuoto. Ma questa profondità, questo vuoto in che modo sono intesi all’interno del film?
Luca: È un titolo ingannatore in realtà. Il film, essendo poi ambientato a Napoli, fa pensare che abbia qualcosa a che fare con il Vesuvio. Non c’entra niente. Lo spunto per questo titolo ci è stato dato da una costellazione, fatta da stelle troppo luminose per essere viste. In questo abbiamo trovato una corrispondenza con i personaggi del film, che sono un padre e una figlia con un talento esorbitante, così forte da essere invisibile.
Personaggi che non sono, tra l’altro, interpretati da attori professionisti. Giusto?
Silvia: Non avevano mai recitato. È stata la prima volta per loro, ma anche la nostra prima volta per la direzione di attori non professionisti. Insomma è stata la prima volta un po’ per tutti.
Soffermiamoci proprio sui protagonisti: Sharon Caroccia e suo padre Rosario. I due sono anche nella realtà padre e figlia. Questo legame familiare, quanto è stato un vantaggio e quanto ha generato complicazioni per voi?
Silvia: Noi abbiamo proprio voluto due attori non professionisti e abbiamo intenzionalmente cercato un padre e una figlia che fossero tali anche nella realtà. Si tratta di una nostra scelta “kamikaze”. Volevamo restituire la disfunzionalità familiare che soltanto un rapporto vero poteva offrire sullo schermo. La difficoltà principale è stata certamente quella di far entrare due persone lontanissime da questo mondo nel ruolo di personaggi che si distaccano dalle loro indoli. Con gli attori non professionisti, è come avere in mano una cera, gestisci persone che non hanno sovrastrutture e che puoi modellare come vuoi.
Luca: Lo sforzo maggiore probabilmente è stato fatto con Sharon. Sharon era una ragazzina esplosiva, l’abbiamo conosciuta che aveva 12 anni ed era di quelle che ride sempre. Nel film, invece, è un personaggio ombroso, più cupo. Infatti, ci dice sempre “Per colpa vostra, ho imparato la tristezza”. Il padre, Rosario, è l’esatto contrario: nel film è brutale, nella vita reale è un pezzo di pane.
Voi siete partiti come documentaristi; “Il Cratere” è il vostro primo lungometraggio, presentato al Festival di Venezia e premiato al Festival di Tokyo da Tommy Lee Jones, che addirittura si è commosso durante la visione del film, vero?
Luca: Sì, ci ha svelato che dopo la proiezione, agli altri membri della giuria ha detto “Io sono anni che vivo tra la fantascienza, macchine volanti, supereroi ecc… questi due mi hanno fatto piangere con due persone in una stanza.
È stato anche il primo film italiano premiato al Festival di Tokyo. Una vittoria motivo di grande orgoglio.
Silvia: Sì, era l’unico film italiano in gara al Festival di Tokyo. Lì c’erano filmoni con budget altissimi rispetto al nostro.
Luca: Ma il bello di oggi è proprio questo: quando guardi un film, grazie all’abbattimento dei costi di produzione, tu guardi il film e basta. Non pensi a quanto è costato.
Avete fondato una vostra casa di produzione: la Tfilm. È un’acquisizione di indipendenza che sancisce una svolta nella vostra carriera?
Silvia: Assolutamente, siamo consapevoli del rischio e della fatica. Così però hai una libertà di azione e un controllo maggiore. Si può creare un impianto produttivo che ti sostenga, così da essere regista e produttore di te stesso.