Chi ha fatto risvegliare il Mezzogiorno?
Il 7 maggio scorso presso lo splendido Palazzo Zevallos, simbolo di una Napoli abituata da sempre ad essere fra le capitali culturali e politiche d’Europa, si è tenuto un convegno di presentazione del libro di Giuseppe Coco e Amedeo Lepore (2018), Il risveglio del Mezzogiorno. Nuove Politiche per lo sviluppo, con la prefazione di Claudio De Vincenti, Editori Laterza, Bari. Il convegno ha visto una partecipazione attenta di diverse ed autorevoli personalità.
Alla manifestazione hanno partecipato in qualità di relatori illustri studiosi e autorità, quali Maurizio Baracco, Mariano D’Antonio, Sebastiano Maffettone, Paolo Macrì, Luigi Mascilli Migliorini, Marcella Panucci, Umberto Ranieri, oltre agli autori del libro e al Ministro per il Mezzogiorno e autore di una fortunata Prefazione al libro, Claudio De Vincenti.
Il libro, a cura di un economista politico, Giuseppe Coco, e di uno storico economico, Amedeo Lepore, è costituito da una parte di ricostruzione storica dell’intervento per il Mezzogiorno e da una parte di analisi economica della situazione più recente, con un focus particolare anche sulle politiche dei governi di Matteo Renzi e Paolo Gentiloni. In questo senso, pur restando un volume piuttosto agile per il formato tascabile ed il numero di pagine non elevatissimo, rappresenta uno strumento di documentazione e di aggiornamento davvero pregevole per chiunque, a vario titolo, si occupi, o solo si preoccupi, delle sorti economiche e sociali del Mezzogiorno. Il linguaggio scorrevole lo rende adatto non solo ad un pubblico accademico di studiosi interessati ad aggiornare il loro patrimonio di conoscenze sugli sviluppi più recenti della storiografia e dell’analisi economica, ma anche per chi voglia capire meglio e al di là della superficialità dei dibattiti televisivi le ragioni dell’aumentato ritardo del Mezzogiorno degli ultimi due decenni e del risveglio degli ultimi due-tre anni.
Il libro è stato scritto da una ventina di autori ed è organizzato in una quindicina di capitoli generalmente brevi e riassuntivi di una più ampia letteratura. C’è davvero bisogno di libri come questo che contribuiscono al dibattito riassumendo e portando ad un largo pubblico i risultati della ricerca socio-economica e storiografica su diversi aspetti dello sviluppo del Mezzogiorno.
Il libro è stato un’occasione per affrontare il tema di quello che gli autori chiamano, con un’espressione di speranza, il risveglio del Mezzogiorno, contenuta nel titolo del libro. Il “risveglio” è dovuto al fatto che dopo 8 anni di “decrescita infelice” in cui ha perso 13 punti di PIL, contro gli 8 del Centro-Nord, e in cui la disoccupazione, soprattutto giovanile, e la povertà sono aumentati a dismisura, finalmente, il Mezzogiorno torna a crescere, anzi cresce più del Centro-Nord nel biennio 2015-’16. Come ha notato Amedeo Lepore nel suo intervento, non si può dire di aver risolto tutti i problemi del Mezzogiorno, ma almeno lo si è risvegliato e rimesso in piedi. Insomma, dopo l’inverno della più lunga recessione dell’età contemporanea, il peggio è passato e finalmente si può cominciare a pensare in positivo.
Da cittadini campani, va detto che il risveglio del Mezzogiorno è stato guidato da una regione che, grazie all’azione del governo di Vincenzo De Luca, torna finalmente ad essere vitale. La Campania presenta negli ultimi due anni un tasso di crescita superiore a quello delle altre regioni meridionali.
Nella parabola biblica, il risveglio di Lazzaro è il frutto di un miracolo divino. Nel caso del Mezzogiorno, non si è trattato di miracolo, ma di una congerie di politiche che sia la prefazione di Claudio De Vincenti che le conclusioni del libro ad opera di Coco e Lepore illustrano in modo rigoroso e dettagliato. In sintesi, si può dire che sono almeno sei le principali linee direttrici:
1) il rilancio su basi nuove dei Contratti e degli Accordi di Sviluppo;
2) la modifica della disciplina del credito d’imposta;
3) l’affermazione dell’obbligo per le pubbliche amministrazioni di destinare tendenzialmente il 34% della spesa ordinaria in conto capitale al Mezzogiorno;
4) il finanziamento del programma “Resto al Sud”;
5) l’introduzione delle Zone Economiche Speciali;
6) il finanziamento di un Fondo per le piccole e medie imprese.
Queste misure sono, nel complesso, un segno tangibile degli sforzi fatti dagli ultimi governi di centro-sinistra per invertire la rotta seguita negli anni precedenti, almeno dal 2001, per non andare più indietro fino al 1992, anno di abolizione della Cassa per il Mezzogiorno. Dato lo spazio ridotto consentito da queste note, non è possibile discutere ciascuna di queste misure in dettaglio. Mi sembra, però, che quella più significativa nel medio-lungo periodo è la terza.
Il 2001 è l’anno in cui i Fondi per le aree in ritardo di sviluppo sono dirottati dal governo di Silvio Berlusconi a favore dell’ordinaria amministrazione e spesi in prevalenza per sostenere gli investimenti infra-strutturali al Centro-Nord. Questa tendenza era proseguita però anche con il breve governo di Romano Prodi. Al contempo, in mancanza di un chiaro ancoraggio a favore del Mezzogiorno, anche la spesa ordinaria in conto capitale era stata dirottata a favore del Centro-Nord. Ci sono stati anni in cui il Mezzogiorno ha ricevuto una quota molto inferiore al 34% che corrisponde alla percentuale della popolazione meridionale sul totale. Nel 2012, il Sud ha ricevuto solo 19.1%. Non è un caso, allora, se il divario infrastrutturale fra le due macro-aree del paese si sia negli ultimi due decenni ulteriormente allargato e che estese aree meridionali restino ancora quasi isolate dal resto del paese, ciò che ne rallenta anche le capacità di crescita.
Il recupero del gap infrastrutturale resta un aspetto fondamentale della ripresa del Mezzogiorno, assieme con un tipo di intervento innovativo rispetto al passato a favore del settore produttivo, innovativo poiché raggiunge un nuovo equilibrio fra intervento dall’alto della stagione keynesiana tipica della Cassa per il Mezzogiorno e l’intervento dal basso, totalmente decentrato, della tradizione puramente liberale. Si configura, come sostiene Lepore, un nuovo “keynesismo dell’offerta” che punta allo sviluppo attraverso il potenziamento della capacità produttiva e dell’occupazione, volano di sviluppo economico, anziché il sostegno ai redditi, di natura meramente assistenzialistica. Però, questo avviene non attraverso l’industria di Stato o la grande impresa, ma anche attraverso un’azione più capillare a favore delle imprese esistenti, anche quelle piccole, e la creazione di nuove iniziative imprenditoriali, secondo il modello dello sviluppo autopropulsivo invocato dai meridionalisti più moderni ed informati sui pregi, ma anche sui limiti del vecchio intervento per il Mezzogiorno. Tutti gli strumenti di finanziamento prevedono la compartecipazione dell’impresa all’investimento per contrastare comportamenti di moral hazard.
Come hanno notato Umberto Ranieri e Claudio De Vincenti nel corso del convegno, occorre invertire la rotta anche sul piano ideologico e politico, poiché le storture degli interventi degli ultimi venti anni sono il frutto della propaganda leghista a favore della cosiddetta “questione settentrionale”, una strana e balorda teoria secondo la quale bisogna spostare le risorse dal Mezzogiorno al Centro-Nord per far crescere il paese e non il contrario, come prevede la nostra Costituzione e come è stato giustamente sempre fatto dal dopoguerra ad oggi.
Come documentano i capitoli di ricostruzione storica dell’intervento per il Mezzogiorno, quell’aiuto alle regioni più in difficoltà non è avvenuto invano, come vuole l’egemonia culturale leghista alle cui lusinghe ha alla fine ceduto anche il centro-sinistra. L’intervento per il Mezzogiorno, al di là dei limiti, che non si possono negare, è una storia di successo, poiché ha consentito al Mezzogiorno di tenere il passo del resto del paese, meglio collocato da un punto di vista geo-economico, vicino al cuore dell’Europa e perciò favorito rispetto alla parte più bassa dello stivale.
L’unico modo perché davvero i poli di sviluppo del Centro-Nord, che erano, a loro volta, trainati dal resto del continente, trainassero anche il Mezzogiorno che restava e resta purtroppo anche a causa dei ritardi infrastrutturali, slegato dal resto del paese, era proprio un intervento ad hoc. Non bisogna negare questa evidenza storica importante e decisiva se si hanno davvero a cuore le sorti economiche del paese, non tanto e non solo quelle del Mezzogiorno. La conseguenza è che l’intero paese sarà rallentato nelle proprie possibilità di crescita.
Va raccolto, allora, con forza e convinzione l’appello conclusivo del convegno da parte del Ministro De Vincenti secondo il quale contrastare l’egemonia culturale leghista è importante non solo per il bene del Mezzogiorno, ma dell’Italia intera.
Questo libro, in effetti, con la esortazione del suo titolo va proprio in questa direzione, vale a dire fare acquistare consapevolezza all’intero paese che il Mezzogiorno è in corsa e punta sulle proprie forze e sulle proprie capacità produttive per andare avanti verso nuovi traguardi di crescita e di sviluppo.