“SULLA MIA PELLE”: TORNA IL CINEMA D’IMPEGNO ALL’ITALIANA
“Sulla mia pelle” è un film di Alessio Cremonini, scelto come film d’apertura della sezione “Orizzonti” alla Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia.
“Sulla mia pelle” in realtà non è solo un film ed è riduttivo affermare che ha aperto unicamente la sezione di una mostra perché “Sulla mia pelle” ha aperto soprattutto una riflessione e un tipo di discorso che dovrebbe non morire mai, che più resta chiuso a chiave, più moltiplica le possibilità di rinnovo del tragico oggetto.
Cremonini si fa artefice di una felice resurrezione, quella di un genere all’apparenza morto o forse semi-vivo ma nella maggior parte dei casi mal riuscito: il cinema d’impegno civile o politico. Un cinema che fu tassello del Neorealismo e che affonda le sue radici nel primo dopoguerra, trovando la sua massima espressione negli anni sessanta e settanta, di cui il massimo esponente, nonché iniziatore, può dirsi a pieno merito il regista napoletano Francesco Rosi.
Immergendosi con il fiato sospeso negli ultimi sette giorni di Stefano Cucchi, ripercorrendo eventi reali che rendono il prodotto quasi un docufilm, sembra di essere tornati in quegli anni in cui il cinema d’impegno all’italiana era florido e portava avanti una scommessa a tratti pericolosa, conservando quasi sempre uno scopo nobile.
Una differenza sostanziale con gli anni sessanta è che Netflix, la piattaforma su cui è visibile “Sulla mia pelle” oltre che nelle sale, certamente non esisteva; di conseguenza non sarebbe stato possibile ciò che oggi associazioni, spazi autogestiti e collettivi studenteschi hanno realizzato, proiettando il lungometraggio in giro per l’Italia per offrire visioni gratuite con l’intento di divulgare il più possibile una storia necessaria per gli occhi e le orecchie di tutti, scatenando inevitabilmente polemiche e segnalazioni dalla casa di produzione.
Ma il cinema professato da Cremonini, in particolare con “Sulla mia pelle”, se è cinema civile è anche e soprattutto un cinema della verità, in senso strettamente foucaultiano: il film risponde impeccabilmente alla funzione della parresia, che il sociologo, nei suoi sei seminari californiani, definiva il parlar franco, l’altissima capacità di dire la verità.