Regionalismo differenziato? Già esiste.
Si è accesa la polemica, fra i fautori e i contrari o quantomeno perplessi, sul regionalismo regionale che, inizialmente, interesserà Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna; altre regioni hanno avviato le procedure necessarie.
La sua realizzazione è costituzionalmente prevista dall’articolo 116 della Carta. Le polemiche nascono sia dalla fretta con cui si sta procedendo, i decreti potrebbero essere approvati dal Governo senza un passaggio parlamentare, sia dal timore che possa crearsi una discriminazione fra cittadini e fra territori. Tale pericolo è particolarmente avvertito nel settore della Sanità.
Il processo per l’autonomia regionale non è eludibile a condizione che non venga meno la solidarietà e la cooperazione fra le regioni. Quindi la domanda è: sarà realizzato senza cedere agli egoismi e alle spinte separatrici che pur esistono?
Un’altra domanda, insita volutamente nel provocatorio titolo dell’articolo, è particolarmente pressante per le regioni meridionali: come una accentuata autonomia non sancisca definitivamente la storica differenziazione che, di fatto, già esiste fra il nord e il sud del Paese? Oppure, in altri termini, come le regioni meridionali giungono a questa sfida?
Le condizioni materiali del divario sono impietosamente evidenziate da numerosi indicatori economici, demografici e sociali che, fonti autorevoli e diverse, ci forniscono; sono condizioni storiche che non si potranno superare, anche ammessa una forte e intelligente volontà, nel giro di pochi anni. Per forte e intelligente volontà intendo, innanzi tutto, il superamento di un diffuso atteggiamento o questuante o rivendicativo che contraddistingue, potrei dire da sempre, la classe politica meridionale; coerentemente con il sentimento di una grossa parte della cittadinanza.
Il Sindaco di Napoli, Luigi de Magistris, arringa le persone convenute dinnanzi a Montecitorio con toni da notte prima della battaglia. Anche il segretario della Camera del lavoro di Napoli, Walter Schiavella, usa toni duri definendo il provvedimento assurdo. Più pacato l’intervento del Presidente dell’Anci regionale, Domenico Tuccillo, il quale scrive una lettera appello al Presidente della Camera. Ovviamente anche il Presidente della Regione, Vincenzo De Luca, ha fatto sentire la sua voce: sostiene che, fatta salva l’unità nazionale, accetta la sfida che il regionalismo differenziato pone.
Nessuno ricorda che questa sfida è presente, senza andare agli anni dell’unità, dal 1970 e che, le classi politiche che si sono succedute, nulla hanno fatto per incidere su quei fattori culturali che sono alla base di un mancato sviluppo endogeno. Ora alcune Regioni sentono di poter “correre”, è nostro compito sostenerle non certo di frenarle; nell’interesse dell’intero Paese. Dobbiamo emularle rimboccandoci le maniche collettivamente, come cittadini, e pretendendo di più da noi stessi e dai nostri politici; solo questo ci potrà consentire di rivendicare, dignitosamente, quella necessaria solidarietà. Sarà il regionalismo differenziato lo stimolo per superare la storica questione meridionale? Dobbiamo sperarlo, ma attivamente.