Stefania Tarantino e i chiaroscuri della ragione
“Chiaroscuri della ragione. Kant e le filosofe del Novecento” è il bel libro di Stefania Tarantino filosofa napoletana che insegna all’Università degli Studi di Salerno, da sempre impegnata nel pensiero e nella politica femminista. Protagoniste del libro sono quattro filosofe del Novecento.
Ognuna presa per sé nel proprio irriducibile pensiero. Ma tutte e quattro fondamentali e inseparabili per ricostruire una genealogia del pensiero filosofico al femminile. Simone Weil, Jean Hersch , Hannah Arendt e Maria Zambrano, da percorsi indipendenti l’uno dall’altro, si misurano col pensatore più rappresentativo del moderno Immanuel Kant; ciascuna mediata da un proprio “maestro filosofo”, Alain, Jaspers, Heidegger, Ortega Y Gasset. Che Kant sia un “monumento” del pensiero al maschile, è ben noto alle nostre autrici. Tuttavia Kant è anche l’autore che fa del “limite” l’orizzonte del pensiero razionale. Un “limite” che è un ostacolo per il volo irrazionale della ragione (anche se successivamente a Kant questo limite si è provato a scavalcarlo al maschile utilizzando costruzioni quali quella di super uomo e di volontà di potenza), ma è anche la condizione per attivare quella fantasia immaginativa che nella Critica del Giudizio libera la soggettività dalla gabbia necessitante delle leggi naturali, una libertà, che può essere descritta dalla metafora della Hersch che parla della ricerca di un’oasi dentro il deserto, metafora che mai consente di cedere alle lusinghe della volontà di potenza. Quindi un limite come apertura di possibilità, che non consente alla sola luce di “accecare” qualsivoglia visione, ma non consente neanche al buio di impedire qualsivoglia orientamento. È quindi il chiaroscuro che diventa la chiave di volta per interpretare la soggettività kantiana, come magistralmente mette in evidenza la Tarantino attraverso l’attenta lettura dei testi delle quattro filosofe, chiaroscuro che perciò diventa il modo d’essere ontologico dell’esistente. Il chiaroscuro, senza contorni definiti, dalla luce calda e non tagliente, oasi nel deserto dell’esistenza, “che si radica nella carne”, nella sacralità dei corpi; chiaroscuro che perciò è il proprio del pensiero femminile, è il modo d’essere della donna, quella donna che Bruno Moroncini qualifica senza “identità universale” sulla scia di Lacan ma che la Putino descriveva nel cuore dell’accesa polemica contro tale riduzionismo, come ci ricorda la Tarantino, come “ luogo di una verità muta che fuoriesce totalmente dagli ordini discorsivi, dai perimetri della ragione, della volontà, dalle strutture concettuali simboliche della filosofia “, una donna quindi che nella sua singolarità ripete da sempre “l’apertura”, che è il “sublime” di un sempre nuovo inizio. È proprio il tema della nascita, apertura al mondo per antonomasia, che fa la differenza fra Hannah Arendt e il suo maestro Heidegger. Senso della vita, contro angoscia mortale. E del resto la Tarantino nel suo precedente libro “ Senza madre” rimarca come l’Europa che nasce “senza madre” può ritrovare la propria vita piena, al di là del declino attuale, solo se riuscirà ad affidarsi al pensiero aurorale delle donne, filosofe e non solo.