Gli essere umani e il mondo sono due beni comuni!
Dopo la strage del Ponte Morandi si è tornato a parlare di concessioni, di privatizza-zioni e liberalizzazioni e della loro conseguente gestione da parte dei soggetti privati. Sappiamo che a seguito di una massiccia crescita del rapporto debito-PIL, e con il successivo ingresso dell’Italia nell’euro, negli anni ’90, la Repubblica ha posto in es-sere privatizzazioni e concessioni sfrenate, al fine di recuperare qualche punto per-centuale di Prodotto interno lordo.
Se è vero, che lì per lì, le finanze pubbliche ottengono dei benefici, è altrettanto veri-tiero che nel tempo perdono gli introiti derivanti dai beni privatizzati o concessi; a questo bisogna aggiungere che i suddetti beni non vengono gestiti in una visione di interesse pubblico, bensì nell’ottica del mero profitto, attraverso le peggiori modalità capitalistiche e neoliberiste, perpetuate nel tempo dai privati.
La dimostrazione di quanto scritto sopra, la possiamo vedere a Cavalleggeri, dove la Mostra d’Oltremare SPA, società controllata dal Comune, dalla Regione, dalla Città Metropolitana e dalla Camera di commercio, ha allocato i piloni dell’ex funivia Fuo-rigrotta-Posilippo alla ditta BRT, dietro un dubbio contratto, che altro non è che una concessione mascherata, operata in un’ottica di guadagno.
Allora, proprio per questo, occorre una riforma della disciplina che regola la gestione dei beni pubblici e in virtù di questo, nel 2007, venne istituita presso il ministero della giustizia la Commissione Rodotà. La medesima Commissione elaborò un testo che inquadrava nel nostro ordinamento i beni comuni, i beni ad appartenenza pub-blica necessaria e i beni sociali.
I bene comuni sono “delle cose che esprimono utilità funzionali all’esercizio dei di-ritti fondamentali nonché al libero sviluppo della persona. Devono essere tutelati e salvaguardati dall’ordinamento giuridico anche a beneficio delle generazioni future”; i beni ad appartenenza pubblica necessaria sono, invece, quei beni: "che soddisfano interessi generali fondamentali, la cui cura discende dalle prerogative dello Stato e degli enti pubblici territoriali. Non sono né usucapibili ne alienabili”; i beni sociali sono: “quelli le cui utilità essenziali sono destinate a soddisfare bisogni corrispon-denti ai diritti civili e sociali della persona”.
Nella prima categoria rientrano i laghi e i parchi, nella seconda le strade, i ponti e i viadotti, mentre nella terza possiamo trovare le scuole.
Un tema che abbraccia anche la tutela ambientale, di cui si discute dai tempi di San Francesco d’Assisi, che nel 1226, nel Cantico delle Creature affermava il bisogno da parte degli uomini di vivere in armonia con il “Creato”.
Più recentemente abbiamo assistito alla nascita dei movimento “No-global”, i quali denunciano il processo di globalizzazione sfrenato, che non tiene conto dei bisogni delle persone, ma soltanto della volontà di pochi “mercenari dell’economia”, quella stessa economia che dovrebbe pensare a colmare le disuguaglianze, anziché aumen-tarle.
Secondo Zygmut Bauman, la globalizzazione avrebbe creato effetti irreversibili, come la forbice di squilibrio economico, infatti le conferenze mondiali mostrano che il 90% delle risorse del Pianeta, sono nelle mani del 10% della popolazione mondiale, ed è qui che tornano nelle nostre menti le parole del Mahatma Ghandi, il quale affer-mava che “nel mondo c’è quanto basta per le necessità dell’uomo, ma non per la sua avidità”. Parole che sono una realtà!
Allora chi se non papa Francesco poteva riprendere tutte queste istanze e porle in un unico documento, l’enciclica “Laudato Sii”, datata 2015, in cui il Sommo Pontefice scrive: “la continua accelerazione dei cambiamenti dell’umanità e del pianeta si uni-sce oggi all’intensificazione dei ritmi di vita e di lavoro, in quella che in spagnolo al-cuni chiamano “rapidación” (rapidizzazione). Benché il cambiamento faccia parte della dinamica dei sistemi complessi, la velocità che le azioni umane gli impongono oggi contrasta con la naturale lentezza dell’evoluzione biologica. A ciò si aggiunge il problema che gli obiettivi di questo cambiamento veloce e costante non necessaria-mente sono orientati al bene comune e a uno sviluppo umano, sostenibile e integrale. Il cambiamento è qualcosa di auspicabile, ma diventa preoccupante quando si muta in deterioramento del mondo e della qualità della vita di gran parte dell’umanità” (L.S. 18).
Il papa si è nettamente schierato contro la scelta del Presidente Trump, di venire a meno agli accordi di Parigi sul clima.
Il DDL Rodotà andrebbe a garantire la tutela dell’ambiente, scuole più sicure, ponti e strade gestiti realmente per i cittadini e per lo sviluppo della Repubblica, che in fondo non è altro che una grande bene comune, come la parola stessa ci insegna.
Il testo di legge è importante anche perché darebbe una piena attuazione all’articolo 41 della nostra Costituzione, che sancì l’inizio di un’economia mista, proprio come a ribadire “l’incontro fra i due solidarismi, quello liberale e quello di sinistra” come ebbe a dire nell’ultima seduta dell’Assemblea Costituente, l’on. Togliatti.
In un tempo dove la gestione dei beni, delle risorse e anche dell’essere umano, ha as-sunto sempre di più una natura egoistica, così come insegnava Smith nei suoi scritti, occorre ricordare le parole che lo stesso Stefano Rodotà ci consegnava: “la salute non è più soltanto, ce lo dice l'Organizzazione Mondiale della Sanità, assenza di ma-lattia, ma pienezza del vivere nel senso che è ciò che ci appartiene dal punto di vista fisico, psichico e sociale”, esattamente per sottolineare il legame che persiste tra l’am-biente, l’economia e la salute.
La raccolta firme per la proposta di iniziativa di legge popolare, lanciata dal comitato “Stefano Rodotà”, composto da docenti universitari, cittadini, studenti, politici, sinda-calisti e tanti esponenti dell’attivismo, è anche un grande esempio di democrazia dal basso, che andrebbe a dare uno “schiaffo” all’insofferenza del Parlamento a questo testo, e anche alla non attuazione, da parte dello stesso, del Referendum del 2011 in cui si sancì l’acqua come bene comune, ribadito dalla sentenza della Corte Costitu-zionale n.199/2012.
Per questo bisogna aderire a questo ambizioso progetto, che mira a tutelare i nostri diritti, ma anche i nostri doveri, a far comprendere che “il PIL misura tutto tranne ciò che vale realmente la pena misurare” (Robert Kennedy).
Soprattutto vuole farci comprendere che oggi giorno lo sviluppo sacrifica le popola-zioni e il loro benessere concreto e locale sull’altare del «benavere» astratto, deterri-torializzato, così come più volte spiegato dal filosofo ed economista Serge Latouche, padre della decrescita felice, o forse sognatore di un mondo meno infelice.