Un po' di storia del teatro napoletano (seconda parte)
Il teatro napoletano non ha fino al Cinquecento una storia scritta, pur risalendo a tempo immemorabile le farse degli istrioni nelle piazze e nelle taverne. La prima data certa è il 1514, quando Antonio Caracciolo fece rappresentare la 'Farsa de lo Cito' alla corte aragonese.
Pressappoco contemporanee sono le cosiddette ''farse cavaiole'' (probabilmente d'origine salernitana), che vennero raccolte e rielaborate verso la fine del secolo da Vincenzo Braca. Nel 1573 si formò la prima compagnia di comici dell'arte napoletani e nel 1632 comparve per la prima volta in un documento scritto la maschera di Pulcinella (interpretata da Silvio Fiorillo, famoso anche come Capitan Matamoros), secondo zanni che inizialmente fu meno importante di Coviello e che ebbe numerosi concorrenti nella stessa area napoletana. Sono del Seicento anche le commedie erudite di Giambattista Della Porta, fitte di personaggi che si esprimono in vernacolo, e 'La nascita del verbo umanato' di Andrea Perrucci, una pastorale sacra rappresentata in occasione del Natale col titolo 'La cantata dei pastori', in cui alcuni personaggi si esprimono in napoletano. Il secolo d'oro del teatro napoletano fu però il Settecento, con i librettisti che inventarono l'opera buffa, inizialmente in dialetto poi in lingua; con un notevole commediografo, Pietro Trinchera, autore di 'La gnoccolara' e di 'La monaca fauzza'; con i popolarissimi copioni di Francesco Cerlone e, soprattutto, con l'apertura (1770) del nuovo teatro San Carlino che per 114 anni fu al centro della scena dialettica cittadina. Qui dominò Pulcinella, reimportato da Roma e divenuto la tipica maschera napoletana, e qui ebbe inizio la tradizione degli autori-attori che caratterizzò questo teatro per oltre due secoli: la dinastia dei Cammarano e poi Pasquale Altavilla, Salvatore Petito e, più grande di tutti, suo figlio Antonio, creatori di farse che finirono man mano per assumere significati più profondi e per diventare espressione delle miserie e delle speranze della plebe partenopea. Antonio Petito morì nel 1876 e nei favori del pubblico gli succedette un altro attore-autore, Eduardo Scarpetta, che adattò ai gusti e al linguaggio della piccola borghesia locale farse e 'vaudevilles' francesi (ma firmò almeno un testo originale, 'Miseria e nobiltà', tutt'altro che trascurabile) accentrandoli sul personaggio di Don Felice Sciosciammocca già utilizzato da Petito.
Per saperne di più: